L’estate degli Humans

Spread the love

Un’estate strana per le serie televisive, molto strane. Si va da titoli molto forti a cose deboli e ripetitive. Sicuramente parleremo della seconda stagione di True Detective, davvero notevole per il cambiamento effetuato, non più ambientazione fra Lovecraft e Poe, ma uno splendido hard boiled sentimentale, un Ellroy modificato. Mr. Robot, da alcuni definita la serie sugli hacker, anche se a me sembra che il focus sia la paranoia, prodotto di alto livello di, trasmessa da Usa Network, la stessa di American Crime, altro prodotto molto alto. Poi c’è Humans. Humans è una cosa strana per vari motivi. Prima di tutto Humans è un remake, ispirato da una produzione scandinava, Akta Manniskor, che significa Real Humans. I due titoli già non combaciano. Forse.

Non si tratta di una distonia lessicale. Real Humans sono gruppi di persone contrarie all’invasione di synth nella società e spaventate dalla perdita del lavoro, sostanzialmente dei neo luddisti. Humans è molto più ambiguo e gioca molto sulla possibilità che i sintetici sviluppino una coscienza, possano provare emozioni, quindi una reale intelligenza artificiale, se non di più. La serie anglo-americana è relizzata da AMC, quelli di Breaking Bad e Channel Four, quelli di Utopia, a cui ancora non posso perdonare di averla interrotta dopo due stagioni. Il tema è forte, visto che al cinema c’è anche un buon film come Ex Machina.
Non parte benissimo, francamente se avessero lavorato meglio sullo script certe lungaggini si sarebbero risparmiate, però poi si parte davvero, dalla terza diciamo, ed è davvero un piacere guardarla, anche perché scatena dibattiti molti accesi non sulla qualità dell’audiovisivo, ma sul tema. Io c’ho visto una ripetizione di alcuni politici italiani, diciamo, geolocalizzati. Si procede speditamente negli incontri fra umani e sintetici con fazioni “contro” da entrambe le parte. Una piccola ma significativa parte la interpreta anche WIlliam Hurt, invecchiato, ma in ripresa rispetto agli ultimi film della sua carriera.

Tutto comincia da una famiglia normale, sempre alle prese con una certa dose di problemi, acquista un synth con le funzioni di domestica. I synth svolgono quel lavoro, oppure sono operai, o anche operatori del sesso, ma lo sono anche facendo lavori domestici o gli operai – hanno tutti la possibilità di essere dei sextoy. Questi synth non hanno una coscienza, rispondono alle classiche leggi della robotica di Asimov. Questa synth si chiama Anita, che vedete in alto nella prima foto. Anita non è nuova, anche se viene venduta come tale, in realtà fa parte di un gruppo a cui è stata sviluppata una coscienza, sentimenti compresi. Sono 5, più 1. Creati dall’inventore dei synth per il proprio figlio, all’indomani della morte della moglie. Il figlio rifiuterà il primo synth, troppo rassomigliante alla madre e poi avrà un incidente in un lago. Il padre lo salverà trasformando il suo cervello in artificiale, quindi anche lui non sarà più totalmente umano. Lui è il + 1 del gruppo. Naturalmente c’è chi li vuole fare fuori. Perchè? Andrebbe chiesto anche a chi vuole eliminare i migranti dalla faccia della terra, ma qui c’è il fatto che vengono giudicati come delle cose.
Queste serie, come altri prodotti, risvegliano – finalmente – tutto il dibattito sul post-human. Simone Spetia, giornalista del sole 24 ore, sta conducendo un programma su radio 24 dal titolo L’era dei Robot. Interessante, ha una visione abbastanza globale, soprattutto anche riguardo il tema del lavoro, quindi Ricardo, Marx e Keynes riguardo la riduzione del lavoro da parte della tecnologia. Esiste questa possibilità? Certo. Oggi l’automazione sta sostituendo alcuni lavori manuali, ma non tutti, basta che ci sia una non-ripetizione e il robot avrà bisogno di un aiuto umano. Eppure a mio avviso una delle cose che saranno necessaria al raggiungimento di questo obiettivo sarà il superamento del ciclo del capitale. Non vado più avanti perché il tema è più che complesso e ha bisogno di molto spazio. Per quello che vale io Humans lo consiglio.