Una creatura letteraria che vanta tantissime trasposizioni: dalla versione cartoon Disney Basil L’Investigatopo, oppure nella versione più trasanda interpretata da Robert Downey Jr., senza considerare quello più moderno di Benedict Cumberbatch, fino a quella made in USA dal titolo Elementary che aveva la bella ed affascinante Lucy Liu come Watson. Va detto però che la migliore mai realizzata al livello televisivo è sicuramente quella inglese dal titolo italiano “Le Avventure di Sherlock Holmes” con Jeremy Brett, considerata da tutti gli appassionati la più fedele in assoluto. In ogni caso, il geniale detective si è sempre dimostrato sagace e capace di sfruttare ogni situazione, anche la più improbabile, con tutte le sue qualità. Ed i suoi difetti.
Molto spesso Sherlock nelle sue avventure più difficili faceva affidamento sui ragazzi e bambini che abitavano i bassifondi di Londra, i cosiddetti “irregolari”. Questi avevano il compito di aiutare le indagini, ovviamente al giusto prezzo, recandosi nei luoghi dove una persona del calibro di Sherlock avrebbe attirato attenzioni non gradite. Ed è proprio da questo bizzarro gruppetto che Tom Bidwell ha tratto ispirazione per il suo Gli Irregolari di Baker Street.
La nuova serie di Netflix si compone di otto episodi della durata di circa cinquanta minuti ognuno e vede protagonista un gruppo di cinque adolescenti alle prese con l’arrivo di una misteriosa minaccia che sembra donare poteri a chi riesce ad attingere alla fonte di tale malvagità. I ragazzi vengono catapultati nel mondo del soprannaturale quando un tenebroso e per nulla simpatico Watson (interpretato da Royce Pierreson, già visto in The Witcher) si mette in contatto con Beatrice, effettiva protagonista della serie e mente del quartetto originale a cui poi si aggiungerà un personaggio a dir poco regale.
Il ritmo è ben sostenuto e le puntate riescono a mantenerti incollato al piccolo schermo per tutti i cinquanta minuti, anche se gli inserti da love story sono naturalmente pensati per attirare il target young adult. C’è chi ha visto in questo prodotto una versione più matura e sviluppata di un altro grande successo di Netflix: Stranger Things. Un paragone lusinghiero visti i risultati in termini di audience. La struttura antologica dei primi episodi ti fa sentire partecipe delle indagini e la suspense è ben costruita. Nella seconda parte questa crescita è diluita e culmina con una serie di sorprese ben architettate. È evidente però che non tutte le rivelazioni siano eclatanti e infatti non sono mancati diversi cliché individuabili da chilometri di distanza.
A livello scenografico la Londra vittoriana di Netflix è splendidamente sporca e rude come da manuale ed il dualismo fra l’upper class con i bassifondi fa capire l’importanza degli irregolari. Watson stesso sottolinea come un gentleman come lui non possa mischiarsi col comune volgo (anche se poi lo ritroviamo frequentatore di bettole come ogni buon gentiluomo dell’epoca). Il giudizio finale è positivo, è stata confermata una prossima stagione, soprattutto per essere riusciti in un’operazione anche molto complessa: costruire una serie solida, divertente, per un target come quello giovanile che magari non si sarebbe mai avvicinato a Conan Doyle o alla Londra vittoriana. Usare un linguaggio narrativo che possa giungere in maniera affascinante alle nuove generazioni di spettatori per parlare di contenuti ed ambientazioni differenti è una sfida che la televisione è obbligata a condurre.