DINNER CLUB: il ritorno di Cracco rende seriali cibo e territorio

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Dinner ClubVivere soltanto in funzione di una meta futura è sciocco. È sui fianchi delle montagne, e non sulla cima, che si sviluppa la vita.” Uso questa frase di Robert Pirsig, autore del Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, per dire che oggi faremo una leggera deviazione dai nostri “percorsi” abituali. Seriale si, ma stavolta parliamo di uno show seriale: Dinner Club. Proprio quello con lo chef Carlo Cracco, ex grande protagonista di Masterchef, qui “padrone di casa”. Da poco tempo è uscita la notizia che dice nell’ultimo anno un milione e mezzo di italiani ha smesso, completamente, di guardare la tv tradizionale e si è rivolta verso altre forme di intrattenimento, come le piattaforme streaming, i videogames, la rete e altro. Ora questo conferma un trend che si fa sempre più consolidato – lo ripeto da anni – e che per molti non vorrà dire nulla, ma che in realtà riflette cambiamenti forti di tipo economico, sociologico e antropologico. “Addirittura!” Lo so che qualcuno lo starà pensando, però questa è la verità. La pubblicità diminuisce e si spostano le risorse economiche. Inoltre la crisi dei media tradizionali si riflette sullo stato del giornalismo tradizionale, sempre più acchiappalike, ma che mai affronta davvero il cambiamento che la rete ed i social – che da parecchio non sono più una novità – portano con sé.

“Mangiare è una piccola cosa ma buona”

Dinner ClubIl titolo di questo paragrafo è un omaggio a quel gigante della letteratura che è Raymond Carver.  Il titolo è quello di un racconto che si trova nella raccolta Cattedrale – Carver è a mio avviso il più grande maestro della short stories insieme a Cortazar – è che troviamo anche in quel capolavoro cinematografico che è America Oggi di Robert Altman, vincitore del Leone d’Oro per miglior film alla 50ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ex aequo con Tre colori – Film blu di Krzysztof Kieslowski. Non è sfoggio di cultura e amore per cinema e letteratura, ma la dimostrazione di quanto il cibo sia fondamentale come “sussistenza” al di là del lato meramente biologico. Il cibo è la colazione di Natale e scartare i regale, le cene piene di ansie con l’uomo o la donna di cui siamo innamorati, gli aperitivi con gli amici, le colazioni all’alba di ritorno dalle notti passate in giro. Mangiare è cultura? Molto di più. Come lo è mangiare bene e non solo per quello che c’è nel piatto.

E Cracco ritorna senza essere Cracco

Prima o poi doveva succedere che anche uno show percorresse la strada della serialità in una maniera intelligente e mettendo insieme anche altri argomenti importanti oltre l’intrattenimento. Non parlo della cucina – che fondamentale lo è sempre – ma del marketing territoriale, espressione con cui si definiscono tutte le attività di valorizzazione e promozione delle caratteristiche di un territorio sia per fini turistici, commerciali, culturali, sociali e molto altro. Cominciate a capire quanta roba ci passa in un “semplice e banale” programma televisivo?
Disponibile in esclusiva su Prime Video dalla fine dello scorso settembre, il cooking travelogue – una sorta di viaggio conviviale che rivede in maniera positiva le regole del reality – con Carlo Cracco destruttura l’impalcatura intransigente dell’internazionalità finora assunta dallo chef vicentino, mostrandone invece il lato più informale e umanamente incline al diletto godereccio. Nonostante la premessa iniziale che lo vede elencare con la solita pesante scrupolosità le quattro regole da rispettare per far parte della confraternita del game creandone la giusta suspense, il Cracco che andrà a rivelarsi è tutt’altro che respingente, ma sarà un padrone di casa gioviale all’interno della location nella quale si intrattengono le sei cene, e un avventuroso compagno di viaggio negli altrettanti sei itinerari scelti nel Belpaese condivisi con i protagonisti. Cracco e sei amici – come sempre la scelta del cast è essenziale in ogni reality o talent – che sono: Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Luciana Littizzetto, Sabrina Ferilli, Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea. Con ognuno di loro in ogni puntata lo chef visita un territorio diverso dell’Italia, in situazioni molto divertenti e particolari, al di fuori dei percorsi turistici tradizionali. Sei tappe (Delta del Po, Puglia e Basilicata, Sardegna, Cilento,  Maremma e Sicilia) percorse in camper o in macchina d’epoca, in bici o in houseboat, per disegnare un esagono di valorizzazione delle tradizioni e di scambi umani-culturali, alla ricerca di ingredienti, metodi di cottura e tecniche scoperti nel territorio da riproporre poi nelle cene di fine viaggio, ideate e preparate direttamente dallo chef e dal suo viaggiatore. Sei tappe poi sei cene.

 

Amazon Prime e il mondo dello streaming credono nell’italianità e nell’italicità. Non è affatto poco!

“Tutto qui?” – dirà qualcuno dubbioso e anche con tono un po’ supponente. Certo. Prendi sei personaggi molto amati dal pubblico e non dei fake bot influencer la cui attività principale è mettere foto su propri canali social, certamente molto seguiti – anche se pure su questo si potrebbe dire moltissimo – sperando di finire sui siti e riviste di gossip. Sei personaggi che interagiscono fra loro con battute e scherzi nell’attività che tutti noi amiamo da sempre e ancor di più dopo la pandemia: la cena con amici! Ingrediente principale  è l’umanità della gente in giro per l’Italia – rivedere l’Ogliastra per me è stato commovente – che viene sottolineata dalla bontà dei nostri prodotti e della nostra cucina. Questa è la vera esperienzialità! Io per il mio percorso di lavoro mi sto trovando ad incontrare personaggi importanti del turismo delle radici ed esperienziale, il prof. Romita dell’Unical, il prof. Sommario, direttore del Festival delle Spartenze – che a fine Ottobre avrà bellissime iniziative a Corigliano-Rossano – la dottoressa Letizia Sinisi, che ha recentemente scritto un libro fondamentale sul Rooting Experience Planning, che vi consiglio, presentato alla fiera internazionale di Rimini TTG Travel Experience, la dottoressa Ambra Saottini un’autorità nei percorsi dell’accoglienza esperienziale, il prof. Riccardo Giummelli che porta avanti il discorso dell’italianità e dell’italicità e molti altri. Tutto insieme alla splendida classe del Master in Organizzazione e Gestione del Turismo delle Radici dell’Unical. Cracco vince perché fa parlare le persone, la terra, gli odori ed i sapori in una sinestesia che ci arriva in maniera serena, divertente, garbata, ricordandoci come la diversità della gente sia la ricchezza enorme del nostro paese. Lo fa on the road mescolando tanti aspetti che riescono a coinvolgerti, uscendo dai meccanismi della vippitudine stile, gfvip che continua sempre di più a perdere ascolti e che devi inventarsi congiure dei poteri forti per potere avere qualche titolo in più. Si, tutto qui. Vi pare poco?

 

Show Seriali

La serialità è tipica dei formati di talent e reality che nel nuovo millennio si sono moltiplicati sempre di più su tutti i teleschermi del mondo. In principio fu l’olandese John De Mol, nel 1999, a creare il primo Grande Fratello, prendendo il nome da un personaggio di 1984, l’inquietante capolavoro di George Orwell. L’attrazione per “spiare” dal buco della chiave la vita di alcun persone in determinate condizioni è diventata sempre più estrema, tanto da arrivare anche nelle serie tv, il coreano SQUID GAME è un caso. I talent sono stati una variazione molto importante. In moltissimi campi, musica, cucina, vendita e ristrutturazione di case, l’importante è la gara. In questo caso si punta sulla tendenza alla tifoseria e all’immedesimazione dei protagonisti. Il “quello è uno come me” ricopre una esigenza psico-sociale che i talent soddisfano.