Da Black Mirror alla periferia

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Volevo fare dei post separati, ma leggendo un post su Carmilla online ho deciso di fare un pacco unico. Di carne al fuoco ce n’è tanta, ma cerchiamo di rimanere nell’ordine – almeno per un po’. E’ arrivato lo special natalizio della seconda stagione di Black Mirror, mentre aspettiamo, ora con più impazienza la terza, il titolo è White Christmas e vanta come protagonista Jon Hamm, ovvero il Don Draper di Mad Men. Diciamolo subito Charlie Brooker ha colpito ancora, lo special è qualcosa di molto valido nel panorama televisivo, dimostrando come Black Mirror, di cui ho parlato nel 2013, sia un pezzo di quella British TV Reinassance. Ma non c’è solo questo.
Brooker è uno che ha fatto parecchi mestieri in questo settore e si percepisce vista la capacità a maneggiare diversi linguaggi ed elementi. L’ordine è molto serrato, segnato da interruzioni a schermo nero, che però non rovinano mai la narrazione, anzi accentuano i momenti di cliff e i colpi di scena. Tecnicamente valido in ogni aspetto, ci porta in un’atmosfera di natale tecnologico, indagando anche il senso della socialità e della punizione. Hamm è bravo e dà al suo personaggio un’impronta alla Draper, se lo vedete capirete il perchè Non vi dico altro perché non voglio fare spoiler, ma c’è una curiosità: la prima è che Robert Downey Jr. ha opzionato l’episodio The Entire History of You, se non sbaglio il terzo della prima stagione, dove si ipotizza che tutti indossino un meccanismo per la registrazione visiva della propria vita dietro l’orecchio.

Ma che alto c’è in giro? Parliamo di fantascienza o di cosa? Già per parlare di fantascienza bisogna essere d’accordo su cosa sia o su cosa indichi questo termine, perché cara amica di Carmilla gli zombie non ne fanno parte. Anch’io penso come te che quest’annata di The Walking Dead non sia all’altezza delle stagioni precedenti, ma non te la prendere se ti vedi Z Nation, che già dai primi minuti del pilota si capisce che vale molto poco. Se volevi rimanere con gli zombie potevi scegliere un prodotto medio come In the Flesh, oppure nella fantascienza con The 100, una serie teen, dove la seconda stagione è meglio della prima, una cosa leggera ma almeno dignitosa.

Syfy ha realizzato una miniserie dal titolo religioso Ascension, ma niente a che fare col mistico, bensì coi viaggi interstellari. E’ il ritorno da protagonista di Tricia Helfer, la bellissima silone Numero 6 di Battlestar Galattica, uno dei capolavori della fantascienza televisiva. Siamo all’inizio degli ani 60 e gli Stati Uniti inviano un razzo con 600 umani nello spazio, per un progetto di conservazione della razza umana, terrorizzati dall’imminenza di un conflitto nucleare. Si propone un sistema poco democratico, diciamo una dittatura militare soft con un sistema a caste, basati su ponti superiori e ponti inferiori, ma anche sul piacere e sulla ricompensa di una terra promessa. Cinquant’anni dopo sono ancora nello spazio e stanno viaggiando, ma il punto è che il razzo non è mai partito. Siamo di fronte al più grande reality show mai messo in piedi, anche se solo per il gruppo di controllo della missione, che porta avanti questo esperimento da psicologia sociale per poter vedere come muterà l”uomo. Alla fine è un prodotto che si lascia guardare per qualche ora, ma ha delle buone promesse e va visto nell’ottica di essere un pilota. Perché si fa un pilota? Di solito perché si vuole far produrre una serie e Ascension potrebbe aver un seguito, anzi, visto il finale aperto, chiama il suo sviluppo. E’ un prodotto medio, ma non credo che riuscirà a proseguire, forse ci voleva coraggio nello sviluppo.

Un film di scarso successo al botteghino che invece consiglio per chi ama rimestare nel torbido e negli errori è Coherence, con una trama basata tutta sulla fisica quantistica, il gatto di Schroedinger, senza nessun effetto speciale e anche very low budget. Se riuscite dategli un’occhiata.

Sull’ultima stagione di Doctor Who avrei molto da dire però siamo in chiusura. E’ stata molto altalenante e soprattutto, nonostante molto ne abbiamo parlato non bene, ma benissimo, il finale di Moffat è deludente, come se non sapesse cosa scrivere. Ora aspettiamo lo speciale di Natale, anche se il cuore sanguina ancora un po’.