E TU DI CHE COMPLOTTO SEI? TANTO E’ TUTTA COLPA DEI SOCIAL!

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complottoBenvenuti in TSO. Tranquilli, nessuno verrà a prendervi a sirene spiegate e con una camicia di forza, anche se c’è qualcuno che pensa che il sottoscritto dovrebbero subire un Trattamento Sanitario Obbligatorio per il brutto vizio di avere opinioni diverse, obiezioni e dubbi financo argomentandoli! La gente, molto spesso alcuni operatori dell’informazione, si offendono se cerchi un contraddittorio invece di gridare ed offendere. Allora iniziano con insulti che chiudono col refrain “è tutta colpa di social” – naturalmente chi lo dice usa sempre i social in maniera massiccia.
TSO, cioè Tecno Social Osservatorio, è un modo che voglio sperimentare non tanto per spiegare le tecnologie digitali, piuttosto per affrontare le questioni che pone il vivere in un ambiente fatto maggiormente dal digitale e ai social.
Per le tante migliaia di aficionados – gli iscritti al sito hanno superato ben oltre quota diecimila, provocando attacchi di bile ai miei hater, avviso che TSO, pubblicato nell’Inserto Estate del Quotidiano del Sud non vuol dire che il blocco di  PERCORSI SERIALI. Ci saranno degli SPECIALI visti alcuni debutti  troppo importanti, come House of Dragon, primo spinoff dal Trono di Spade, e Sandman, l’adattamento dalla graphic novel di Neil Gaiman, il celebre scrittore di American Gods. Adesso torniamo al COMPLOTTO.

Durante la fase acuta della pandemia c’è stata un proliferare di attenzione verso il complotto. Addirittura, si è creduto che il complotto fosse frutto della post-modernità. Come se i no-vax, le origini del Covid, il vaccino che inoculava un chip a grafene per la tracciabilità, favorendo però il segnale 5G, fino ad un classico come il terrapiattismo, fossero i primi complotti mai avuti, dimenticando magari quello sulla morte di Paul McCartney, gli alieni e molti altri. Naturalmente questo è un tema che si collega a quello delle fake news e del giornalismo, attualissimo e legato alla narrazione della sciagurata guerra nata dall’aggressione della Russia verso l’Ucraina. Una narrazione che non pochi hanno definito tossica visto l’”inquinamento” di notizie non verificate. Quei non pochi sono stati spesso insultati e minacciati solo perché ponevano un dubbio. Famoso è l’episodio della foto che ha fatto il giro del mondo, in Italia usata da La Stampa, e che è stata definita l’exemplum dell’orrore del massacro russo a Kiev. Sicuramente era una foto esemplare, ma la foto era stata fatta nel Donbass durante un attacco delle forze ucraine di Zelensky contro le popolazioni russofone. Nella foto non è mai stato citato l’autore, un famoso professionista, e quando è stata diffusa la realtà, quasi tutti i media hanno dato pochissimo spazio, se non nelle brevi. Questo mostra come funzioni il meccanismo dell’agenda setting, cioè le notizie che si mettono per avere lettori, oggi like e commenti. Naturalmente anche le scuse, specie dai rappresentanti ufficiali, sono acqua nel deserto. Anche le fake news hanno esempi importanti nella storia, dal Protocollo dei Sette Savi di Sion al Dispaccio di Ems, dall’incidente del golfo del Tonchino e altri. Le teorie del complotto sono restie alle critiche e al principio di falsificabilità, al contrario trovano forza nella logica circolare. Sia le prove che confutano il complotto che l’assenza di prove a favore della sua esistenza sono reinterpretate dai complottisti come indiscutibili dimostrazioni della sua verità per cui la cospirazione diventa una questione di fede piuttosto che di realtà. La ricerca suggerisce che l’ideologia complottista può essere psicologicamente dannosa o patologica e correlata ad uno scarso pensiero analitico, alla paranoia e al machiavellismo. Perché i social media sono forti nella diffusione delle narrazioni complottiste? Conoscendo le regole dei social e degli algoritmi si riesce ad ottenere una diffusione incredibile, che importa poi se si capovolge il senso stesso della narrazione se io ottengo dei like. Se storicamente il complotto indica qualcosa chiuso e segreto, oggi è totalmente visto che i social raggiungono il 70% del mondo. C’è l’intenzione di diffondere il conflitto spesso anche da parte dell’informazione professionale, per avere più like, condivisioni, commenti e battute. Tutto questo crea un ambiente dove diventa impossibile la distinzione di ciò che è reale o meno. Il cambiamento sostanziale fra il complottismo di prima e quello attuale è proprio l’ambiente, che risente moltissimo della crisi del giornalismo tradizionale. La narrazione della guerra fra Ucraina e Russia è stata mostrata come se fosse “in action”, quando in realtà gli inviati sono arrivati, e in pochissimi, a venti chilometri dal fronte. Molto simile fu la prima guerra del golfo, quella di Peter Arnett della CNN sul tetto di Bagdad che fu “raccontata” da guerra tecnologica. A posteriori moltissimi inviati hanno raccontato la violenza dei bombardamenti a grappolo e la ferocia degli scontri. In tutto questo assistiamo a vari fenomeni che si sommano: viviamo in una realtà social, digitale, un metaverso volendo usare questo termine, integrato completamente nella realtà fisica. Le esperienze, però sono fatte dagli operatori della conoscenza, specialmente dell’informazione, usando però ancora logiche della modernità mentre non siamo in un mondo che sta abbandonando la post-modernità, che sta dicendo addio all’Antropocene, per citare l’antropologa Donna Haraway.
A volte se penso al mondo digitale mi viene in mente una serie tv anni ’80: RalphSuperMaxiEroe. Un insegnate riceve un costume da supereroe dagli alieni ma perde il libretto di istruzione. Il digitale, quindi anche il mondo social, sono una rivoluzione tecnologica, sociale, psicologica, antropologica e tanto altro che sta andando avanti nonostante sembriamo non avere il libretto di istruzioni. Non dobbiamo perdere bensì incrementare la nostra voglia e capacità di confronto. Una rivoluzione che necessita delle qualità umane di base come educazione, ascolto e confronto. Non è mai colpa dei social se insulti qualcun altro.

Qualche approfondimento sul complotto, complottismo ed informazione

Quella del complottismo online è un argomento che non riguarda il gossip ma viene indagato da esperti della comunicazione, antropologi e sociologi. Troppo spesso i social vengono presentati come il “frutto amaro” del mondo, specie da chi li vuole usare a tutti i costi senza volerne capire la natura e le caratteristiche. Il tema analizzato è stato ben approfondito sul rapporto fra complotto e salute già prima del Covid da Anna Kata della McMaster University, antropologa e studiosa di scienze comportamentali – “A postmodern Pandora’s box: anti-vaccination misinformation on the Internet” è un articolo straordinario. DISINFORMATI, ultimo libro di una personalità come Jacques Attali (economista e teorico sociale che ha lavorato con le più alte istituzioni mondiali) indaga il rapporto fra social, libertà ed informazione. Importante.