HBO prenota gli Emmy con Big Little Lies
Eccole qua, tutte e cinque le protagoniste dell’ultima produzione HBO: Big Little Lies.
L’espressività di Reese Witherspoon. L’emotività di Nicole Kidman. Lo sguardo intenso di Shailene Woodley. La classe e l’eleganza di Laura Dern. E poi ancora: la sensualità di Zoe Kravitz. Un cast d’attrici stellari, con una trama forte che parla di donne, abusi, violenze domestiche e soprattutto affida la regia ad un fenomeno come Jean- Marc Vallè e il risultato non può che essere superlativo.
L’ultimo episodio della serie “Big Little Lies” – You Get what you need, è andato in onda domenica scorsa in USA. E la storia raccontata nelle sette puntate che hanno composto la miniserie si è conclusa. Regalando agli spettatori la degna conclusione di una storia intensa, potente e importante. Una grande storia di donne. Salvo ulteriori sorprese non ci sarà una seconda stagione. Avevamo già parlato di questa miniserie in un post di qualche settimana fa (http://www.simonecorami.com/biglittlelies/); la miniserie è stata tratta dal romanzo di Liane Moriarty e, adesso, possiamo trarre le dovute conclusione.
Il titolo di questa puntata è tratto dalla famosa canzone dei Rolling Stones You can’t always get what you want, perchè anche la musica ha avuto un forte peso in questa narrazione e soprattutto su certi personaggi. Ma niente è stato lasciato al caso, neanche la sigla – Cold little heart cantata da Micheal Kiwanuka – e se leggete il testo dal video qui sopra vi renderete conto che annuncia i temi della serie.
SPOILER ALERT (FORSE)
“Big Little Lies” era una degli eventi più attesi dell’anno e le aspettative non sono andate deluse. Una miniserie sulle donne che ha affrontato con coraggio e forza tanti temi molto attuali, dalla violenza alla famiglia, dai bambini al. La sceneggiatura è stata scritta da David E. Kelley e ha presentato la storia di: Madeline (Reese Witherspoon), Celeste (Nicole Kidman) e Jane (Shailene Woodley). A fare da sfondo i contrasti tra i genitori ed in particolare tra la stessa Madeline e Renata Klein (Laura Dern). Tutto accade nella ricca cittadina di Monterey in California; un un contesto in cui viene presentato il tema del bullismo, del rapporto madre – figli e soprattutto dei legami tra genitori. Ognuno delle protagoniste, però, nasconde un segreto. Vite all’apparenza perfette dietro le quali si cela insoddisfazione, incapacità di accettare i propri errori e violenza domestica. È il caso di Celeste (Nicole Kidman) un
Una miniserie che parla di violenza domestica e che, allo stesso tempo, racconta le sfumature donne. Delle loro fragilità ma anche delle loro forze. Non c’è solo Nicole Kidman a brillare ma ritroviamo anche una Reese Witherspoon che con la sua Madeline riesce a bucare lo schermo, a trasmettere quella determinazione e quella forza di cui nel lontano 1999 era stata perfetta interprete grazie al personaggio di Tracy Flick nella dark comedy Election. Madeline ha i suoi segreti, ha commesso i suoi errori e anche se il suo obiettivo è quello che tutto vada sempre liscio come l’olio deve riuscire a fermarsi e a credere che anche lei è umana. E può sbagliare. E dagli errori fatti si può ripartire. Accade questo sia nel rapporto con la figlia Abigail alla quale confesserà di aver tradito il marito Ed. È da antologia il dialogo, nella sesta puntata, tra Madeline e Abigail. Un personaggio forte quello di Madeline, potente, introverso ma allo stesso tempo veritiero, ma che vive una profonda distopia da se stessa alcune volte.
Le varie storyline che ci hanno accompagnato nelle sette puntate vanno poi ad unirsi tutte nel grande finale, ma già dalla sigla di apertura, quella della sfilata dei bambini e dei genitori, girata con grande maestria, si intuisce che una chiusura ci sarà. Gli ultimi venti minuti della serie sono un qualcosa di perfettamente bello, elegante e denso di significato. Si vede la mano di un regista capace come Jean- Marc Vallè (già conosciuto in Dallas Buyers Club e Wild) che è stato in grado di rendere il finale perfetto. Un finale che si va a costruire attimo dopo attimo e sul volto delle protagoniste regna la paura, la consapevolezza che qualcosa di brutto stia realmente per accadere. Sono le protagoniste poi a ritrovarsi tutte assieme. A combattere unite. Per affrontare il mostro. Potente il messaggio che arriva dalla produzione: le donne se unite possono fare la differenza e possono infrangere tutte le barriere che la società loro impone. Per farlo, però, devono mettere da parte i loro egoismi, i loro pregiudizi, i dubbi e le incertezze. Fare squadra e fidarsi l’una dell’altra.
Altro elemento di non poco conto che ha garantito il successo della serie è stata la colonna sonora che ha accompagnato la storia, come abbiamo anticipato. Una musica per donne e per uomini. Una miniserie che sicuramente è più di un semplice prodotto televisivo. E che conferma la tendenza degli ultimi mesi che vedi molti attori di Hollywood impegnati a sperimentare il piccolo schermo. Questo non può che fare bene considerato il risultato, il livello e la qualità espressa da un prodotto forte come Big Little Lies. L’ultimo (capo)lavoro HBO, possiamo dirlo già da ora, sarà sicuramente protagonista nella prossima stagione dei premi. Reese Witherspoon e Nicole Kidman potrebbero, infatti, essere nominate per i prossimi Emmy Awards nella categoria miglior attrice protagonista in una miniserie tv e nella categoria non protagonista non è da escludere la possibile presenza di Laura Dern e Shailene Woodley. Queste donne andrebbero premiate. Tutte. Così come Big Little Lies potrebbe già finire nella categoria miglior miniserie o film per la tv. In fondo who cares?
Gli applausi vanno a tutti, cast tecnico e cast artistico, perchè vedere un prodotto del genere fa pensare che la tv sia ancora un mezzo inesplorato e che possa ancora dare molto. Stamattina appena sveglio rileggevo un passo da Story di Robert McKee, una bibbia per chi fa storie visive e dice che: “La storia non è una fuga dalla realtà ma un veicolo che ci conduce nella nostra ricerca della realtà. E’ il nostro massimo sforzo per dare un significato all’anarchia dell’esistenza“.
Bruno Apicella e Simone Corami