ARTE: Contemplazione e Materia dopo il lockdown

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Domani ci sarà l’Opening Act di un’importante installazione di arte contemporanea sul lungomare di Reggio Calabria. Si tratta di OPERA realizzata da Edoardo Tresoldi, artista che la rivista internazionale Forbes ha considerato fra i 30 più importanti under 30 in Europa.
Proprio stamattina è uscita una mia intervista con lui dove abbiamo parlato dell’evento, del linguaggio dell’arte per e per le persone oggi, anche nel post-lockdown.
Sono stato felice di averla realizzata non solo perché sono un appassionato di arte, ma qualcosa di più.

Ho avuto modo di scrivere come mi riflessione personale in un’altra sede: 

Io sull’arte sono un intollerante.
Intollerante verso chi pensa che sia e debba essere  solo la bella riproduzione del reale.
Intollerante verso quei convinti passatisti del “vuoi mettere una volta!”
Intollerante verso quelli che “Boh, io non la capisco quindi fa schifo.”
Intollerante verso quelli “Ma che vuol dire?”
Se fosse per tutte queste persone l’uomo sarebbe ancora a 18.000 anni fa circa : le pitture rupestri di Lascaux! Non abbiamo bisogno di terrapiattisti e negazionisti anche nell’arte! Può non piacere, verissimo e lecito, però bisogna anche provarci e l’arte è il tentativo dell’umano di andare oltre.

Sarà un grande appuntamento quello di questo weekend 12 settembre. Uno di quelli che davvero non si dimenticano. Uno di quelli capaci di riunire arte, cultura, spettacolo nei suoi linguaggi più diversi e aperto alla partecipazione di tutta la cittadinanza di Reggio Calabria. Soprattutto dove la cittadinanza sarà protagonista in un momento così difficile a causa delle norme anti-covid, eppure stavolta lo spazio pubblico del lungomare Falcomatà è stato predisposto per essere celebrato con loro e per loro. Parliamo dell’opening act di Opera, la nuova installazione permanente di arte pubblica di Edoardo Tresoldi, sul lungomare Falcomatà di Reggio Calabria, promossa e commissionata dal Comune e dalla Città Metropolitana. In occasione del weekend di inaugurazione si terrà una serie di eventi gratuiti di musica, performance e poesia. Edoardo Tresoldi è un giovanissimo artista italiano che ha già avuto moltissimi riconoscimenti internazionali e che Forbes ha inserito nella speciale classifica dei 30 artisti under 30 più influenti del continente europeo. Lo abbiamo raggiunto per parlare proprio dell’evento.

 

Come nasce Opera?

 

Circa due anni fa fui contattato dal sindaco di Reggio Calabria e mi è stato chiesto di immaginare un intervento in città. Quando sono arrivato ho cercato di capire il rapporto, il modo di porsi dei reggini con la loro città. Sono stato subito colpito come il centro di Reggio sembrasse una grande griglia di case che scende dall’Aspromonte e poi si libera sul lungomare per arrivare a questa grande piazza dove c’è il loro vero monumento eterno: lo Stretto. Appena l’ho visto ho avuto il ricordo della maestra alle elementari che lo indicava sulla cartina. Arrivando lì sono stato colpito dalla fisicità della geografia, riuscendo a percepire perfettamente il paesaggio che da Reggio arrivava alla Sicilia con l’Etna. Sono rimasto impressionato dalle indicazioni delle correnti marine sullo Stretto, un elemento fortemente vacuo. Noi solitamente siamo abituati alla storia come a qualcosa di fortemente materico, al monumento di pietra che è lì realizzato da qualcuno da migliaia di anni. Qui invece siamo di fronte alla vacuità dell’acqua, un fortissimo senso elementale, pensiamo anche al mito di Scilla e Cariddi e anche a tutta l’eredità letteraria ed artistica, è ancora qualcosa con cui ci si confronta. Sono tanti gli elementi che caricano lo Stretto di un’importanza emotiva fortissima. Io non volevo monumentalizzare qualcosa di storico. Ho ragionato su qualcosa di contemplativo, mi interessava di più celebrare qualcosa di più diretto e di più semplice che fosse poi più abitato dalle persone. Un’architettura che poi è adatta al luogo in cui ho deciso di realizzare l’opera, quando negli anni ’90 è stato creato lo spazio pubblico del lungomare. L’idea era quella di celebrare ciò che avviene in quello spazio, cioè la visione e la contemplazione del mare.

 

Che cos’è l’arte come linguaggio per te?

Molto spesso è più facile riconoscere l’artista quando ci si trova davanti alla sua produzione piuttosto che dire “io sono un’artista”. L’arte utilizza linguaggi altrui come il video, il suono o l’architettura, per creare delle poetiche e riuscire ad esplorare e parlare d’altro. Io utilizzo l’architettura per cercare delle poetiche visive e non, per cercare la relazione che c’è fra l’essere umano ed il paesaggio, superando la funzionalità dei linguaggi che uso. Per questo mi piace parlare di “autore”, che sento come un organismo, biologico, che assorbe elementi e linguaggi per poi trasformarli e produrre nuove manifestazioni, costruendo poetiche e grammatiche figlie del proprio momento storico.

Le tue opere mi fanno pensare al Cretto di Burri e alle installazioni di Christo. Sono loro i tuoi riferimenti?

Assolutamente. Christo soprattutto per l’approccio nell’utilizzo dello spazio pubblico. Lui si stacca dallo storico del paesaggio e riesce a raccontare la contemporaneità di quel preciso momento. Anche Burri è importante per me, è riuscito a radicarsi nel passato dando poi una grande dignità e forza al racconto della contemporaneità. Poi i riferimenti sono tantissimi, soprattutto l’idea di usare elementi che magari non appartengono al mio periodo storico ma attualizzarli nel nostro contemporaneo.

Trovo molto bello che l’inaugurazione sia concepita come una performance fruibile per tutti. Pensi possa portare ad un riavvicinamento fra la gente e l’arte specie in questo momento dominato ancora della pandemia?

Sono contento di collaborare con degli autori che io stimo tantissimo come Teho Teardo che ha musicato l’installazione creando tre momenti diversi, Franco Arminio che è una sorta di guida spirituale riguardo la lettura del paesaggio contemporaneo, e tutti gli altri. Avrei voluto rendere gli eventi dell’inaugurazione aperti a tutta la cittadinanza ma purtroppo le normative anti Covid-19 non me lo hanno permesso.

Abbiamo vissuto mezzo secolo di distanza fra le persone e l’arte. Mi viene da chiedere se l’arte ha voluto essere pubblica visto che per sua natura ha anche un forte legame col privato. Ora noi viviamo un momento di collettività e di grandi momenti pubblici, quindi penso che le dinamiche vadano rotte e vada mostrato come l’arte può essere diretta per tutti i fruitori che per me è anche il passante casuale, questo è il motivo per cui cerco di ridurre al minimo gli elementi di riferimento storico. Il lockdown ci ha tenuto lontano dagli spazi pubblici. Io ho fatto un’opera di contemplazione, concetto che è stato fortemente compreso durante il lockdown, la gente avrebbe pagato oro per stare seduto in un parco. Io trovo che sia importante recuperare questa dimensione di contemplazione con lo spazio pubblico senza doverlo riempire per forza con attività interattive. Nel momento in cui abbiamo la possibilità di un monumento eterno, come a Reggio è lo stretto, mi sono sentito in dovere di creare un’architettura che celebrasse questa relazione.

Sud e Arte: è un binomio possibile senza essere ancorati al passato?

La scena artistica del sud è fortemente viva. Quando cresci in un territorio ce l’hai dentro, è normale che determini la sensibilità. Il lavoro da fare è parlare del contemporaneo, celebrando e monumentalizzando l’adesso, perché comunque l’eredità storica è dentro di noi.