Arriva Parler: il social del diritto all’hate speech

Spread the love

Subito dopo la sconfitta di Donald Trump alla presidenziali, questa è stata l’app più scaricate per smartphone Apple e Android. Parler sta scalando le vette dei social in USA, soprattutto negli ambienti legati al Partito Repubblicano, ai sostenitori di Donald “Ho Vinto io” Trump, e all’ultradestra. Il motivo di questo grande successo starebbe nell’essere “senza censura”. O forse nel poter parlare male ed insultare di chiunque non lo pensi come te.

Simile a Twitter

Si tratta di un sistema di microblogging molto simile a Twitter, che ha dichiarato che dopo le elezioni i suoi iscritti sono passati da 4,5 a 8 milioni, e gli utenti attivi da 500mila a 4 milioni. Niente male anche se siamo molto lontani dai 200 milioni di utenti giornalieri dell’uccellino cinguettante, e neanche paragonabili ad oltre il miliardo e mezzo di Zuckeberg. Ma li parliamo di poteri forti, insieme a Bezos, Bill Gates, Babbo Natale, il Genio della Lampada e chissà chi altro. Eppure è stato un evento che ha sollevato alcune polemiche nel mondo politico americano, anche perché ha dato voce ad una nicchia che sembrava esclusa dal contesto social. Alcuni hanno osservato perché mai Tik Tok no e Parler si, visto che anche il discorso sulla proprietà cinese è stato solo un pretesto senza fondamento.

Dalla terra della libertà a quella dell’odio

Questo social è stato fondato da due imprenditori informatici originari del Colorado nel 2018. Il nome arriva dal francese parlare, anche se generalmente viene pronunciata all’inglese – come ti sbagli! Si possono pubblicare messaggi fino a mille caratteri, “votando” o condividendo con i propri follower quelli degli altri, sistema che sembra veramente simile al Retweet. I termini di servizio sui contenuti permessi sono un po’ vaghi e contraddittori, ma in generale la politica di Parley è di non rimuovere né segnalare quelli che diffondono bufale, lasciando semmai il compito di smentirle agli altri utenti. Riguardo ai messaggi d’odio, il fondatore John Matze ha detto che non saranno mai vietati perché «non possono essere definiti». E qui entriamo in un territorio da dark web, dove potrebbe ritrovarsi gruppi di complottisti e quant’altro. Dalla Terra della Libertà, alla Terra della Libertà di Odiare. Nulla in contrario, però spesso in queste situazioni si coltivano situazioni molto vicino a seminatori d’odio e a personaggi che avrebbero bisogno di assistenza psichiatrica.

The Donald ed i suoi amici

Questo contesto ha attratto molti commentatori e giornalisti di destra, che da anni si lamentano di un presunto clima di “censura” sui social network che invece hanno adottato qualche tipo di politica contro lo hate speech. Candace Owens, l’ex direttore della campagna elettorale di Trump Brad Parscale e l’avvocato di Trump Rudy Giuliani, il conduttore televisivo di Fox News Sean Hannity, l’ex candidato alle primarie Repubblicane Ted Cruz ed anche il presidente brasiliano Jair Bolsonaro sono le nuove star di Parler.
Il suo successo è scoppiato proprio dopo che Twitter, Facebook e YouTube hanno preso provvedimenti simili contro i contenuti violenti e razzisti. Anche Reddit, che finora era stato il social di riferimento per l’alt right, ha adottato politiche un po’ più restringenti arrivando a chiudere il forum “the Donald”, molto popolare fra i sostenitori dell’ex presidente.

L’Odio Non è un’Opinione

La questione non è secondaria e riguarda il mondo dei social, quello dell’informazione e quello dell’interazione. Esiste davvero un diritto all’odio? E’ possibile pensare che la violenza verbale non debba essere censurata in nome del del “diritto all’opinione”? Invito a scaricare e leggere questa bella ricerca che si chiama proprio L’Odio non è un’opinione e che è stata presentata in occasione della giornata mondiale contro il razzismo a Roma. Si tratta della prima ricerca italiana sui “discorsi d’odio” nei media e online, promossa da Cospe nell’ambito del progetto europeo Bricks (Building respect on the internet by combating hate speech). Quest’iniziativa ha visto la partecipazione della Federazione nazionale della stampa, insieme a Articolo 21 e Carta di Roma in collaborazione con www.illuminareleperiferie.it. C’è anche una parte legata alla giurisprudenza ma soprattutto si mostra quando l’odio sia alimentato dalle fake news, spesso manipolate ad arte. La questione allora è molto diversa. Ha senso chiamare libertà il portare avanti menzogne per aumentare l’odio e la violenza fra le persone? Questa è vera domanda che ci dobbiamo porre. La verità ed il diritto di parola per me sono un’altra cosa.