American Gods: l’imperfezione divina

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Ian McShane in American Gods

Perderla è un peccato. Contro gli dei.

L’aspettavamo e non poco. Sempre stato un tifoso e non solo un fan di Neil Gaiman, fin da quando lessi Sandman, poi Neverwhere, passando anche per Coraline, Anansi Boys, una sorta di spin-off di questo grande libro che è American Gods. C’è voluto qualche anno per preparare il progetto della serie, ma alla fine è arrivata, se ne parla dal 2011, doveva essere l’HBO, poi la Freemantle, che poi l’ha passato alla Starz. Il giudizio è lapidario: imperfetta e bellissima.
Si, imperfetta e questo è uno dei suoi punti di forza.

La serie è stata sviluppata da Micheal Green e Bryan Fuller, il primo è uno sceneggiatore molto noto, presto anche in Italia potremmo vedere la sua creatura più attesa, il seguito di Blade Runner, però ha già sceneggiato l’ultimo film che chiudeva le avventure di Wolverine sul grande schermo.  Bryan Fuller invece viene dal mondo dei trekkies (Star Trek), oltre che su Hannibal e altro. Sono stati loro due ad affiancare Gaiman in questa opera di adattamento del suo libro, che io raccomando di leggere.

American GodaLa regia è buona, soprattutto perché segue bene i copioni che sono il reale punto di forza di tutta la serie, anche se non è facile seguire tutto senza aver letto il libro. Nonostante sia stato scritto nel 2001 il romanzo ha ancora una forza presente, nonostante i cambiamenti fatti dal gruppo scrittura. L’altro punto di forza è sicuramente il cast – nella foto ne vedete una parte. Una minima parte, perché i personaggi sono davvero tanti e aumenteranno col passare delle stagioni. C’è Ian McShane, Mr. Wednedsay che chi ha intorno hai 40 anni può ricordare come Giuda Iscariota nel Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, o come Al Swearengen in tutte le tre stagioni di Deadwood, per questo ruolo vinse il golden globe nel 2005. Al centro il personaggio di Shadow Moon, quello che diventa l’aiutante, molto ignaro del Bilquis, una dea africana che ha bisogno degli uomini, ma che poi spariscono dentro lei, visto che non riescono a sopravvivere al piacere che lei provoca. In alto a sinistra della foto c’è Pablo Schreiber, Mad Sweeney, il lepricauno, figura mitologica irlandese, associato ad un folletto. Scelta particolare visto che Schreiber è 196 cm di altezza. Da notare che lui sia anche il fratellastro di Liev Schreiber, lo splendido interprete di Ray Donovan. Magari è pensabile che lo stesso Liev farà una piccola parte nella seconda stagione, questi camei sono annunciati, come quello visto di Gillian Anderson nella prima, proprio nell’ultima puntata, dove impersonava il personaggio di Media, schierata naturalmente con i nuovi dei. Da non dimenticare nemmeno Chernoblog, il dio slavo del bene e del male, interpretato da Peter Stormare, forse l’attore preferito dei fratelli Cohen.

Abbiamo già presentato questa serie qui sul blog. Adesso andiamo oltre.
Nuovi dei VS vecchi dei è il tema ricorrente della prima stagione, ma di tutta la narrazione, con delle note di approfondimento nella serie che mancano al libro, come quelle sull’Islam, ma forse l’Isis  ha sortito un effetto – non ci credo, sono più convinto che sia il mondo ad essere cambiato. American Gods è un work in progress, un atlante di mitologia comparata necessario. A cosa? A trovare i due temi centrali della storia dell’uomo: la guerra e l’eroe. Vi consiglio di leggere per esempio il bellissimo trattato L’eroe dai mille volti, di Joseph Campbell, che ci racconta il confronto fra i miti di varie culture e religioni provenienti da ogni angolo del mondo e i punti di contatto che esistono. E’ questo che vuol dire? Forse sta a significare che le differenze ci sono, ma forse esistono schemi di fono che appartengono alla biologia o all’evoluzione, o forse che discendiamo dagli alieni. Non sta a me dirlo, io mi preoccupo più di analizzare i processi. Nella prima stagione di American Gods abbiamo visto, parzialmente, gli schieramenti, ma abbiamo anche visto i tradimenti, i crimini all’interno delle fazioni e questi passaggi non portano alla famosa Fine della storia annunciata da Francis Fukuyama, ma alla necessità dell’uomo di creare delle mitologie per spiegare il mondo ed esaudire i propri desideri.

Mr. Nancy e gli altri

Orlando Jones is AnansiQui accanto Orlando Jones che nella serie è Anansi, uno dei più importanti e conosciuti dei appartenenti alla mitologia delle popolazioni originarie della zona ovest dell’Africa, zona del Kenya. La tradizione lo pone a metà strada tra l’essere un dio ingannatore e un eroe culturale. Suo padre è Nyame, il dio del cielo, e per suo conto Anansi porta la pioggia che spegne gli incendi e svolge altri compiti diversi. Sua madre è Asase Ya. Ci sono anche diverse menzioni di figli che avrebbe procreato. Secondo alcuni miti sua moglie è conosciuta come Miss Anansi o la strega Anansi, anche se solitamente viene chiamata Aso. Le forme con cui viene descritto il dio sono quelle di un ragno, di un uomo o di una combinazione dei due. Per questo motivo viene spesso chiamato il ragno o il dio ragno. L’unico spin-off letterario che Neil Gaiman scrisse nel 2005, tratto da American Gods, è proprio Anansi Boys. Ancora una volta Gaiman si conferma un grande scrittore quando racconta una storia dove gli dei sono incarnazioni umani e generano figli. Non mi dilungo sulla trama, anche perché non voglio essere accusato di spoiler, però, al di là della storia, c’è una ricerca dietro, cioè il bisogno di narrazione degli esseri umani. Potrei consigliarvi Shakespeare, il bardo immortale, oppure il sardo Atzeni con il bellissimo Passavamo sulla terra leggeri, che rievoca in un romanzo dallo stile poetico le origini della Sardegna.

Al di là di tutti i discorsi sull’esistenza di dio, questa non è la sede adatta per affrontarli, l’uomo crea gli dei, gli dà vita, allo stesso tempo gli dei creano gli uomini. Qualunque cosa voi, io, gli altri credano, abbiamo la necessità di affrontare il mondo, la necessità di una coperta di Linus da tenere quando la notte diventa scura e si sentono i tuoni e fulmini per la tempesta. Gli dei invece hanno la necessità di essere adorati e soprattutto non dimenticati. Le ricerche di Fiske e Hartley sulla funziona bardica legate alla televisione sono state illuminanti in questo campo. Il libro è Reading Television.
In fondo l’arte è il risultato di come noi umani affrontiamo il mondo e soprattutto le nostre emozioni. Questo chiude il cerchio sul giudizio iniziale di serie imperfetta, sia gli dei che gli umani sono imperfetti e sono dipendenti l’uni dagli altri. Adesso aspettiamo la nuova stagione di American Gods.

Chiedo scusa se il post è lungo, ma è una serie tv, non è mai solo una serie tv. C’è tanto da dire. Abbiamo parlato di alcuni libri, d’altronde siamo nella centralità della scrittura.