“Lo IALSAX Quartet è una formazione si jazzistica ma che esegue e ha un approccio di musica contemporanea, quindi operando una fusione di stili. Solo fra i pochissimi nel mondo ad effettuare questo di ricerca musicale e siamo molto contenti di poter partecipare ad un progetto così raro che si avvale anche della collaborazione di grandi arrangiatori e che sta avendo un meritato successo. ”
La sua carriera è costellata da progetti sicuramente che non hanno un approccio purista alla musica jazz, ma piuttosto alla contaminazione, penso al lavoro fatto sulle canzoni di Luigi Tenco. Qual è la sua filosofia del suo feeling col jazz?
Io ho iniziato in maniera tradizionale, come credo sia giusto che sia, poi il percorso che mi sono costruita è del tutto casuale, anche se nella vita forse casuale non è nulla visto che ci si accorge che si sta seguendo un filo che all’inizio non è evidente. Anche il lavoro fatto sulla canzone d’autore italiana è nata per caso, su richiesta del discografico Piangerelli. Ho sentito che era una sfida e mi ha aperto davvero un nuovo percorso per l’epoca, era la metà degli anni ’90 ed il jazz italiana ancora scoperto quel tesoro di standards che è la canzone d’autore italiana. Poi sono nati molti altri progetti, però mi fa piacere essere l’unica persona a cui la famiglia Tenco a concesso di scrivere musica su testi originali ed inediti, da cui è nato lo straordinario progetto realizzato con Enrico Pierannunzi, Danza di Una Ninfa.
Mi piace molto questo richiamo all’accettazione delle sfide. Visto anche il suo disco omaggio alla straordinaria Billie Holiday e l’impegno nell’associazionismo jazz, le voglio chiedere quanto spazio c’è per le donne nel jazz?
Diciamo che non c’è spazio e tutto quello che c’è è quello che ci stiamo creando e conquistando. E’ un problema non solo italiano e non solo del jazz, dobbiamo usare le cosidette “quote rosa” che sono una necessità ma che in futuro speriamo di non averne bisogno. A volte c’è proprio una mancanza di visione e di approccio culturale sui ruoli e sulle professioni, come la direzione d’orchestra o la composizione. Finalmente le cose stanno cambiando.
Lei trova ci sia anche una barriera culturale nei generi musicali? Molto spesso si è prigionieri di pregiudizi musicali, non sarebbe ora di buttarli giu?
Assolutamente si! Duke Ellington diceva che c’è la buona musica e l’altra musica. Molto spesso le persone pensano che il jazz sia qualcosa di lontanissimo da solo, poi lo ascoltano e ne rimangono conquistanti, lo sentono vicino. Faccio un gran lavoro nelle scuole, sono 8 anni che oramai mi adopero per questo, e vedo i bimbi che letteralmente sono entusiasti per la musica jazz, però purtroppo a parte RadioTre ed il circuito dei festival l’attività di diffusione del jazz è minima nel nostro paese. Il problema è farlo conoscere, poi può anche non piacere, però non dobbiamo creare barriere.
Una domanda d’obbligo è quello sulla ripresa dell’attività dopo il lockdown. Come state vivendo questa ripresa?
La musica va vissuta in maniera libera per cui quando per ovvie ragioni sei limitato è davvero difficile. Ora la stiamo riscoprendo, con tutte le dovute precazioni, ed è comunque una grande emozione. Vedo una grande voglia di partecipare da parte del pubblico e dei musicisti in totale sicurezza, sperando di tornare quanto prima a situazioni migliori.