In fondo questa è il sentimento che alberga nella maggioranza degli esseri umani che vive in un paese a sviluppo economico avanzato, le famose democrazie, è quello che la democrazia sia fondamentalmente un errore gigantesco. Inutile inorridire di fronte a questa affermazione. Io lo penso ogni volta che sento sia emeriti maitre-a-penser in giacca e cravatta, sia casual peracottari con in mano un mojito. La democrazia è un errore perché si basa sull’errore.
Certamente i pochi che mi leggono pensano che io mi basi sulle legioni di imbecilli del jingle del povero Umberto Eco – per favore lasciatelo riposare in pace – e sulle espressioni volgari dei canali social. A me non sembra che le altri sedi mediatiche, carta stampata e tv, siano meno violente nelle loro espressioni. In fondo il leit motiv è sempre uguale: chiunque vada a governare sarà il disastro. Riformulo: qualunque sarà la scelta sarà il disastro. Qui sta il punto: la scelta!
Da una parte c’è un richiamo continuo al popolo, questa entità divina che tutto può e tutto fa, dall’altra c’è l’idea di possedere la verità assoluta, di essere il merito, per cui la democrazia è una versione ottriata stile monarchie di metà diciannovesimo secolo si conferma l’elite che merita e che fa il bene comune. Per entrambe la democrazia è un rito di celebrazione del confirmation bias, come direbbe l’amico Walter Quattrociocchi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
I populisti ed i meritocratici , proviamo a distinguere i due orientamenti principali, che però non vanno confusi con gli orientamenti politici ormai desueti di destra e sinistra, non ritengono che la democrazia sia il sistema migliore possibile, anche se o esaltano e richiamano continuamente i suoi valori. Sta di fatto che non accettano i valori, in senso matematico, della democrazia: la scelta, l’errore, la responsabilità e la partecipazione. E non lo fanno neanche i sostenitori dei populisti e dei democratici, quelli che pensano che dall’altra parte ci sia il “diluvio”, con buona pace di Luigi XV.
La democrazia è scelta. Continua e consapevole. Non è solamente quella del giorno delle elezioni. No? No, perché la democrazia è partecipazione, come diceva Gaber. Partecipazione significa controllo. Partecipare significa contribuire dal basso al discorso politico, che non può basarsi solamente su battute in 280 caratteri o meme. Questi prima di tutto vale per chi partecipa alla vita politica, ma anche per i commentatori che sembrano aver abbandonato il ragionamento ed il pensiero critico per l’amore dei like. La scelta e la partecipazione presuppongono la responsabilità, che non è di uno, ma di tutti. Dire che un’intera regione è una causa persa, come ha fatto un “grande giornalista ed intellettuale”, perché quella regione ha fatto una scelta a suo avviso sbagliato e intellettualmente sbagliato. Neanche ci si interroga sui motivi di quella scelta, lo si dice e basta, forse perché anche gli anziani ormai partecipano alla guerra dei like. Il perché, questo bisogna sempre chiedersi, il perché delle cose!
E la democrazia è errore, perché non c’è ricetta perfetta come qualcuno vuole credere. Il discorso politico maturo deve continuare anche quando non piace, anche quando ci sembra che tutto sia finito, non basta lamentarsi.
A me hanno insegnato che la politica è l’arte della mediazione e mediare significa trovare il punto di congiunzione fra parti differenti, un accordo che sia soddisfacenti per tutti, soprattutto quando le condizioni sono molto difficili. La democrazia non è detto che sia il migliore dei sistemi politici possibili, ma è quello che permetterà il perdurarsi del passatempo più amato da tutti: lamentarsi! Se vogliano continuare a farlo, in tutte le forme che vogliamo, allora dobbiamo tornare al ruolo primario della politica: trovare un accordo. E non si fa urlando.