Unorthodox: la storia di Esty conquista pubblica e critica

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NON SIAMO IN UNA DISTOPIA

Lo diciamo subito in maniera diretta e senza troppi giri di parole: Unorthodox, la miniserie di Netflix, è uno dei titoli non dell’anno, ma degli ultimi anni. Per il suo impatto e per l’argomento, una storia di liberazione del mondo femminile è paragonabile alla distopia di Margareth Atwood, Il Racconto dell’Ancella, con una piccola banale differenza, che questa è tratta da una storia vera. Le vicende sono raccontate nel libro “Ortodossa – Il Rifiuto Scandaloso delle mie Radici Chassidice” scritto da Deborah Feldman, giovane donna, nata nel 1986, cresciuta dai nonni nella comunità ultraortodossa di Williamsburg, area urbana di New York, presso Brooklyn, uno dei “five boroughs”, da noi famoso per la gomma del ponte. Primo grande merito di Unorthodox è quello di scardinare un luogo comune pesante e ripetuto come un ritornello trentennale, forte e convincente per molti dal 1990, anno della Prima Guerra del Golfo in Iraq, che pone l’equivalenza fra l’ortodossia religiosa e repressiva con Islam. Qui siamo in mezzo alla comunità ultraortodossa ebraica. Corollario di questo luogo comune è che ortodossia sia frutto di condizioni di povertà estreme – la famosa narrazione del “sono povera gente, non possono studiare”.

STRAORDINARIA SHIRA HAAS

Questa comunità è quella che maggiormente detiene il commercio dei diamanti e che vede gli uomini della comunità stessa recarsi spesso ad Anversa in Belgio, centro mondiale del commercio all’ingrosso dei diamanti. La storia, che la miniserie in quattro parti di Netflix segue, è quella diciannovenne di Esty, interpretata in maniera fortemente intensa da Shira Haas, che ci coinvolge moltissimo anche per come contrasta con la sua fisicità timida e minuta, quasi estrema, ma che si pone in maniera così combattiva e con un antagonismo crescente. Si tratta di una ragazza di fede ultraortodossa chassidica che vive nel quartiere di Williamsburg. Esty, prigioniera di un matrimonio combinato con Yanki (Amit Rahav), decide di riprendere le redini della sua vita nel momento in cui scopre di essere rimasta incinta fuggendo a Berlino, dove vive la madre, che aveva abbandonato anni prima la comunità. Nella nuova città Esty entra finalmente in contatto con tutto ciò che per anni le era stato negato e, finalmente, ha la libertà di esprimere quella che è la sua più grande passione: la musica.
Scritta da Anna Winger e Alexa Karolinski, sta vivendo un momento di grande successo sia di pubblico che di critica. In un’intervista l’autrice racconta di come la prima stesura pubblicata del libro fosse ridotta ed ha avuto un successo oltre le loro aspettative. Esty, sembra vivere in un’altra epoca, in un mondo parallelo, tutto è obsoleto intorno a lei, dalla mobilia all’abbigliamento (le donne devono apparire umili e modeste), alle parrucche molto brutte, usate perché le donne vengono rasate dopo il matrimonio, finanche al tipo di telefoni che utilizzano. Siamo lontani dalla rappresentazione che la sitcom La Tata con Fran Drescher (l’adattamento italiano l’aveva fatta diventare di Frosinone, ma in realtà lei era il simbolo della comunità ebraica newyorkese). Il perimetro di questo micro-universo fuori tempo è la lingua, si parla yiddish. Si prega insieme intorno a un tavolo, quand’è Shabbat, gli uomini con in testa lo Shtreimel, il copricapo dal bordo largo, le donne con la parrucca e un fazzoletto bianco. Esty si ribella al matrimonio combinato, al sesso che è solo dolore, all’oppressione della famiglia. Scappa a Berlino, la città simbolo della persecuzione per la sua gente diventa per lei la libertà e di bellezza (davvero ben fotografata e tratteggiata qui), si toglie la parrucca e si mette i jeans. E canta in pubblico, in yiddish, davanti alla madre ritrovata, al marito che non vuole più, mostra i capelli, fa sentire la sua voce. Scopre che può diventare madre, che non c’è niente di sbagliato o di malato in lei, come le famiglie di Williamsburg volevano farle credere. Molto interessante è il rapporto, spesso conflittuale, che si crea con una delle giovani musiciste che Esty conosce a Berlino e che viene da Israele. La ragazza conosce i modi dell’ebraismo ultraortodosso e che non le appartengono per nulla anche se lei è praticante.

IL CHASSIDISMO DI WILLIAMSBURG

Il chassidismo praticato a Williamsburg è una variante ultraortodossa che nasce nell’est Europa del diciottesimo secolo. Questo mi porta personalmente ad una considerazione, lapidaria se volete, sicuramente ideologica, che è quella di rispettare chi decide di vivere in una fede, anche in maniera ortodossa, ma quando è una scelta personale che non incide sulla vita di nessun altro! Quella di Esty non lo è, come non lo sono quelle di tantissime persone in altre fedi, cristianesimo compreso. Affrontiamo una questione molto spinosa che ci sembra lontanissima è che riguardava il mondo musulmano, che non è solo quello arabo, visto che ci molti seguaci islamici anche nei paesi indiani. Noi siamo una società secolarizzata, abbiamo scelta la libertà di culto anche perché il progresso scientifico ha accompagnato quello filosofico, però oggi dobbiamo difenderlo, anche da un crescente complottismo che serpeggia sempre di più durante questa pandemia. Dobbiamo difendere il diritto alla scelta di ogni individuo, soprattutto lavorare perché le scelte di una persona non siano limite per quelle di altre, come la crescita dei figli.
Una delle scene più coinvolgenti empaticamente è quando la nostra eroina, dopo aver conosciuto dei suoi coetanei musicisti al conservatorio, viene portata con loro sulle sponde del lago dove poco lontano sorge il castello di Wannsee, che fu teatro della conferenza dove fu annunciata la soluzione finale della questione ebraica, cioè il loro olocausto. Lì vediamo famiglie e altri ragazzi che si comportano come noi facciamo al mare, giocano, ridono scherzano e fanno il bagno. Vediamo Esty che cammina lentamente entra nelle acque del lago e si immerge completamente vestita (a loro è proibito fare il bagno). Le lacrime le scendono sul viso mentre si cala nell’acqua e state sicuri che scenderanno anche sulle vostre guance.

ORTODOSSIE E DINTORNI

La storia di Esty ci spinge nei territori della fede, di una sfera coinvolge la vita anche a livello di comunità e socialità. Un’altra serie sugli ebrei ortodossi che trovate su Netflix è Shtisel, storia di una famiglia haredim che vive in un quartiere estremamente ortodosso di Gerusalemme, con uno sguardo al loro modo di affrontare l’amore, la perdita e le sfide della vita quotidiana. Tornando invece negli Stati Uniti da segnalare Big Love, ambientata a Salt Lake City, capitale dello Utah, stato con una forte comunità di mormoni. Qui seguiamo le vicende del poligamo Bill Henrickson e delle sue tre mogli e sette figli nonostante negli USA sia vietata. Da segnalare anche The Path con Aaron Paul, star di Breaking Bad, che racconta di Cal Roberts carismatico e ambiguo leader del movimento religioso dei Meyeristi, che recluta persone in difficoltà promettendo una vita serena e priva di dolori. Con moltissimi lati oscuri.