The good fight: ma davvero potevano smettere? Non credo

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the good fight

Funziona anche senza la Margulis

The Good Fight arriva. Graffia e colpisce. E soprattutto piace, diverte e fa riflettere. Da una dei legal drama più amati e più emozionanti degli ultimi anni The Good wife è nato lo spin off che, proprio nelle scorse settimane, ha preso il via negli Stati Uniti. The Good Fight è stata già rinnovata per una seconda stagione e nelle prossime settimane la Cbs continuerà a rendere disponibili sul suo canale streaming le restanti puntate. D’altronde i legal drama piacciono e tanto, poi Chicago è un’ambientazione giusta per un legal.

Se “The good wife” raccontava le vicende di Alicia Florrick (interpretata da Julianna Margulies, l’ex infermiera Carol della serie cult “E.R. medici in prima linea”, fidanzata storica di George Clooney) alle prese con gli equilibri della sua vita dopo lo scandalo e i tradimenti che avevano visto protagonista il marito allora procuratore distrettuale Peter Florrick, “The good fight” riparte con una nuova storyline approfondendo la vita di uno dei personaggi più interessanti della serie madre: Diane Lockhart (interpretata sempre da quell’istituzione che è ormai Christine Baranski). Proprio nello studio di Diane e di Will Garden (Johs Charles) Alicia si era formata professionalmente iniziando a rimettere in moto la sua vita dopo lo scandalo che l’aveva investita. Anche lo spin off è stato creato dagli autori di “The good wife”, ovvero, Robert e Michelle King, ai quali si è aggiunto anche Phil Alden Robinson e tra i produttori troviamo sempre Ridley Scott.

Il pilot di “The good fight” è emblematico, significativo perché introduce i nuovi personaggi senza mai allontanarsi  dall’atmosfera e dal contesto in cui è nata e cresciuta la serie madre. C’è una curiosità che riguarda proprio la prima puntata della nuova serie, infatti,  gli autori hanno affermato di avere dovuto riscrivere la puntata dopo il risultato delle elezioni americane. Non poteva essere altrimenti in una serie che vuole essere fedele il più possibile con la realtà e in cui si ritrovano molte similitudine con la politica reale. Inizialmente Diane doveva ritirarsi e andare in pensione perché “il soffitto di cristallo era stato infranto”. Una donna aveva vinto le elezioni americane e la parità tra uomo e donna era stata raggiunta. Sappiamo tutti come sono andate le elezioni americane e quanto lavoro ancora ci sia da fare prima di infrangere “il soffitto di cristallo”. Diane da sempre convinta e attiva sostenitrice del Partito democratico nel suo studio lavora con la foto che la ritrae assieme ad Hillary Clinton. “Se riesce lei a sopportare la pressione” raccontava nella prima stagione di The good wife ad Alicia “puoi riuscirci anche tu”.  E proprio per questo motivo The good fight inizia con Diane che assiste impietrita e sotto choc al giuramento di Donald Trump.

L’ambientazione è sempre la Chicago attuale, e se Diane dopo una vita di sacrifici e duro lavoro in cui è riuscita a costruirsi un nome vuole andare in pensione e godersi la sua nuova vita lasciando la carriera lavorativa, accadrà subito qualcosa di impensabile che rimetterà in discussione le sue scelte professionali e non solo. Entra in gioco un nuovo personaggio Maia Rindelle (interpretata a Rose Leslie, si proprio colei che è  divenuta famosa per quelle parole “Jon Snow tu non sai niente” in Games of thrones) che è la figlioccia di Diane ed inizia a lavorare nello studio di associati di Diane. Lo scandalo che coinvolgerà i genitori di Maia travolgerà anche Diane che, dall’oggi al domani, si troverà senza un soldo. Senza una prospettiva di lavoro e sarà costretta a rivedere ogni singola scelta della sua vita. Ci saranno conseguenze negative sulle vita di entrambe e Diane non potrà più andare in pensione. E se prima era l’avvocato più cercato di Chicago e non, adesso, si ritroverà senza fiducia, senza alcun amico e senza alcuna proposta di lavoro. Fino a quando non riuscirà ad entrare nello studio “più black” di Chicago il “Reddick, Boseman&Kolstad” divenuto famoso per le battaglie e le cause vinte sulla brutalità e la violenza della polizia contro i cittadini afroamericani. Diane e Maia inizieranno, quindi, la loro nuova battaglia. Senza mai arrendersi nonostante le difficoltà che si presenteranno nelle puntate e la realtà, dura e cruda, che dovranno affrontare. Maia è una ragazza che si appresta ad avviare la carriera legale ed è ancora molto fragile, insicura e ben presto imparerà a diventare forte.

Nel cast ritroviamo Lucca Quinn (Cush Jumbo) che lavorerà con Diane e Maia e c’è Marissa Gold (Sarah Steele) che diviene l’assistente tutto fare di Diane: è uno dei personaggi più convincenti e divertenti della serie. E ci saranno poi gli attesi ritorni del nemico Mike Kristeva (Matthew Perry), del marito di Diane, il perito Kurt McVeigh (Gary Cole) e soprattutto non mancherà la fantastica e unica Elsbeth Tascioni (a cui dà il voltoCarrie Preston che per questo ruolo ha vinto anche l’Emmy award). E poi c’è la politica, c’è l’attualità ci sono i riflessi delle scelte di Washington che influenzano l’ambito e il contesto lavorativo degli studi legali. E c’è anche la difficoltà a vivere nella nuova americana targata Donald Trump. “Andremo in bancarotta perché non lecchiamo il c…a Trump” dice la nuova socia di Diane a Boseman in una delle puntate in cui all’interno dello studio si dovrà cercare chi ha votato Trump alle elezioni per non perdere un importante cliente. E anche i tweet di Donald Trump entreranno a fare parte, nel corso delle puntate, dei casi  processuali. Senza dimenticare poi l’attenzione sulle “fake news”.  Divertente, ironica al punto giusto con una scrittura creativa e al passo con i tempi  e con l’attualità per un prodotto costruito in maniera ottimale e che trova in Christine Baranski uno dei punti di forza e di solidità. Una serie che vuole fare televisione stando al passo con la politica attuale e la realtà di tutti giorni senza mai annoiare ma dimostrandosi sempre “fresca” e sul pezzo. E che mette la qualità al primo posto riuscendo a conciliare sia l’esigenza di fare politica, mettendo in risalto alcuni temi importanti e toccanti, che quella di fare televisione di spessore. Non mancano le sorprese e vedremo come con l’andare delle puntate la serie potrà proseguire. Fermo restando che il prossimo anno “The good fight” andrà avanti con la sua storia. L’unica pecca, al momento, è data dal fatto che forse dieci episodi sono pochi per una storia che ha tanto potenziale e qualità. C’è sempre bisogno di prodotti simili soprattutto nell’America di oggi e non solo.

Bruno Apicella