L’oscar sarà nero? Effetto anti-Trump

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La rassegna degli Oscar del 2017 potrebbe essere l’edizione “più black” della storia. Quando domenica sera sul Dolby Theatre di Los Angeles saranno annunciati i premi per i migliori attori e le migliori produzioni del 2016 potrebbero esserci tante sorprese. E soprattutto, domenica notte, si potrebbe fare la storia con molti riconoscimenti che, mai come prima d’ora, potrebbero andare ad attori afroamericani. Hollywood, infatti, è pronta a lasciarsi alle spalle le polemiche dello scorso anno rilanciate dall’hashtag #Oscarsowhite e, nell’America che elegge Donald Trump  presidente degli Stati Uniti, vuole valorizzare e dare i giusti riconoscimenti al lavoro delle “minoranze”. Il problema è che oggi negli Usa le minoranze sono tante e la geografia etnica del paese è notevolmente cambiata. Siamo sicuri che la sigla WASP – White Anglo/Saxon Protestant – rappresenti ancora il paese di Hollywood? 

Il 2016, infatti, è stato un anno importante per il cinema e le produzioni con protagonisti uomini e donne nere. Il successo è stato ripagato anche dagli ottimi incassi soprattutto al box office senza contare i mercati esteri. Un indicatore del termometro della situazione è stato dato proprio dall’edizione degli Screen Actors Guild Awards 2017 dove i premi “pesanti” sono stati conquistati da Denzel Washington (che per Fences ha battuto e “frenato” la corsa di Casey Affleck), Viola Davis sempre più lanciata verso l’ambita statuetta per la sua Rose di Fences come miglior attrice non protagonista, Mahershala Ali per il ruolo di Juan in Moonlight come miglior attore non protagonista e soprattutto il premio al miglior cast (che ai Sag equivale al miglior film) per Hidden Figures ( in Italia “Il diritto di contare” in uscita il prossimo 8 marzo). Tre film candidati all’Oscar. Tre storie diverse. Tre produzioni intense che nel 2016 hanno lasciato il segno. Non solo per le immagini e le riflessioni che scaturiscono dalla visioni delle produzioni ma soprattutto hanno lasciato il segno al box office. Un successo inatteso, per certi versi, ma più che meritato. Perché le produzioni meritano e raccontano punti di vista importanti che hanno un notevole impatto sociale. Soprattutto negli Stati Uniti che dopo l’elezione di Trump sono sempre più divisi e dove i diritti delle minoranze sembrano essere quelli più a rischio. Ricordiamo anche come le proteste in seguito alla violenza della polizia sulle minoranze abbiano lasciato il segno. Senza dimenticare come l’incubo terrorismo ossessioni ancora l’americano medio – se ancora esiste questo soggetto che ricorda più il gossip che la sociologia.  Segno che la questione sociale e le contraddizioni che attraversano gli Usa sono ancora vive e presenti nella vita quotidiana nonostante gli otto anni di presidenza Obama. E questo conflitto sociale ha una loro ripercussione anche sul cinema e sulla cultura. Anche perché sullo schermo vengono ripresi i drammi, le sofferenze vissute dalla comunità e dalle persone “black” nel corso degli anni. E accanto alla sofferenza c’è anche la voglia di lottare e non arrendersi davanti alle ingiustizie. Un cinema che fa riflettere, che racconta, descrive, denuncia ma, allo stesso tempo, vuole dare speranza.

Non solo film ma scorrendo l’elenco dei migliori documentari troviamo tra i candidati il lavoro di Ava DuVernay, già regista di Selma (nell’edizione 2015 incredibilmente snobbata dall’Academy che non l’ha inserita nella cinquina dei migliori registi). Il documentario dal titolo 13th lanciato su Netflix è uno spaccato sul problema delle incarcerazioni e della giustizia che riguarda le persone afroamericane negli Usa. Tema attuale e fortemente sentito. Ma non è finita. Nell’elenco delle candidate per le migliori attrici protagoniste troviamo Ruth Negga per Loving, il film di Jeff Nichols che racconta la storia vera sull’amore tra Richard e Mildrerd Loving (lei era afroamericana) che hanno dovuto lottare per vedere riconosciuto il loro amore. Un amore impossibile nella Virginia razziale del 1958.

Il successo al box office dell’anno è stato rappresentato sicuramente dal Hidden Figures (che può essere tradotto sia con figure che cifre nascoste e mai come in questo titolo è più adatto). Film che racconta la storia vera e mai resa pubblica delle tre matematiche americane Katherine Johnson, Mary Jackson e Dorothy Vaughan, che negli anni ’60, nella Virginia della segregazione razziale, con i loro calcoli hanno aiutato l’uomo ad arrivare sullo spazio. Interpretato con un cast d’eccezione che vede una Taraji P. Henson in piena forma e accompagnata da una splendida Octavia Spencer (candidata all’Oscar nella categoria supporting) assieme all’energia vitale di una Janelle Monae al top, il film regala emozioni (nel cast anche Kevin Costner, Kristen Dunst, Jim Parson e Mahershala Ali) senza mai annoiare. E alternando momenti divertenti ad altri di profonda riflessione. Uscito in versione limitata nel week end di Natale all’esordio ha conquistato il pubblico; e sin dall’inizio le file per assistere alla proiezione del film, come raccontato sui social network, sono state lunghissime. Il film è stato un crescendo e quando la settimana dell’Epifania è uscito in versione estesa è riuscito in una vera e propria impresa: scalzare dalla prima posizione lo spin off di Star Wars: Rogue One. Impresa che è andata oltre le previsioni che lo avevano collocato in seconda posizione. “È il film di cui l’America ha bisogno” si sono affrettati a scrivere molti commentatori nell’esaltare la visioni del film che ancora oggi sta raccogliendo incassi al box office. Un dato: Hidden Figures ha superato il film del 1992 con Whoppi Goldeberg  Sister Act: una svitata in abito da suora (fermo a 139,605,150)  che vantava il maggiore incasso nei film con protagonista una donna afroamericana. Ad oggi Hidden Figures ha raccolto, solo negli Usa, 144.191,830 milioni di dollari (è costato solo 25 milioni). E il dato è destinato a salire anche perché mancano tutti i dati di incasso internazionali. Parafrasando il titolo di un vecchio album del gruppo hip-hop Public Enemy (Fear of a black planet) siamo a Fear of a black oscar?

Uno dei film che sarà sicuramente protagonista domenica sera è Fences (ad oggi 56 milioni di dollari incassati). Se Denzel Washington vincerà l’Oscar domenica sera sarà il primo attore afroamericano a conquistare tre statuette. Fences è Denzel Washington. La sua prova attoriale domina la scena. E nel farlo è accompagnato da colei che, negli ultimi anni, è diventata un’altra icona della comunità afroamericana: Viola Davis. Salvo sorprese proprio Viola (che nel film vanta un monologo che è un crescendo di emozioni che esaltano tutte le doti e la bravura della Davis)  otterrà il suo primo Oscar come miglior attrice non protagonista. Entrambi hanno già conquistato un Tony Awards perché il film è la versione cinematografico dell’opera di August Wilson. La vicenda è ambientata a Pittsburgh negli anni ’50. Una produzione carico di significato, di parole, di intensità in cui viene narrato il dramma, le difficoltà, la frustrazione di non essere accettati in un mondo che non ti accoglie per il colore della pelle. Ma in fondo al tunnel c’è sempre una speranza. Il film esce questo giovedì in Italia.

L’altro lavoro di cui tutti parlano, invece, è Moonlight di Berry Jenkins; film che nessuno voleva produrre e che, negli ultimi mesi, è stato il più osannato dalla critica statunitense. Ad oggi Moonlight ha conquistato quasi 22 milioni di dollari in America ( è costato solo 5 milioni). Diviso in tre fasi la produzione è una riflessione molto intimista sull’identità. Uno spaccato duro su quanto sia difficile vivere e crescere nelle periferie di Miami. Protagonista è Chiron che vive a Miami con la madre tossicodipendente (un’intensa Naomie Harris, candidata all’Oscar per miglior attrice non protagonista) e scopre di essere diverso. Chiron è gay. E non sarà facile per lui esprimersi e soprattutto essere accettato nella sua comunità e deve confrontarsi con insulti, bullismo, violenze e con la dura realtà fatto anche di spaccio di droga. Moonlight  è uno cammino alla scoperta dell’identità. È un percorso significativo sull’ essere “diversi” nell’America di oggi. E sul come gli avvenimenti dell’infanzia e dell’adolescenza possano segnare la vita da adulti. Emblematica la spiegazione del titolo che Juan (Mahershala Alì) darà al piccolo Chiron racconterà come : “Al chiaro di luna i ragazzi neri sembrano blu”, rivelando il significato del film che trae ispirazione dal testo  teatrale di Tarell Alvin McCraney “In Moonlight Black Boys Look Blue”. E le immagini e la storia di Chiron spiegano che anche i ragazzi neri hanno un anima, un’identità e non importa quali scelte si facciano o chi si è nella vita. Ma, alla fine, tutti siamo anime e pensieri. Un invito all’uguaglianza e la rispetto e alla ricerca di se stessi.
E in Italia? Anche da noi la situazione non è rosea e non solo per la presenza dei migranti nella società, ma anche nel cinema, eppure è Fuocoammare di Gianfranco Rosi, già Orso d’oro alla passata Berlinale, a rappresentare l’Italia agli Oscar nella categoria come miglior documentario, dopo aver provato ad entrare nella cinquina del miglior film straniero. Qui invece sembra che i giochi siano fatti per l’iraniano Il Cliente dell’iraniano Ashgar Farhadi. Comunque il film qualora il film vincesse la statuetta non sarà distribuito in Usa perchè Donald Trump lo ha bandito. Tutto questo nella Land of freedom.

Bruno Apicella
Simone Corami