Come si racconta la morte del marketing?

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Stamattina ho letto un’intervista a David Shing, Digital Prophet di America Online realizzata da Alessio Jacona per L’Espresso. Una bella intervista dove si ribadisce che il marketing è morto, almeno per come lo conosciamo noi e si discute anche del futuro dell’advertising. Ora io non so se è davvero morto, ma certamente il marketing non se la passa bene, c’è qualcosa però da dire prima: il marketing è comunicazione, ma qualcuno non se ne è accorto.
Ricordo delle accese discussioni sui motivi che spingevano molte aziende italiane a prendere personale formato in ingegneria ed economia, mentre già degli anni 90 si vedeva come tutto, con l’esplosione del digitale, si spostasse sulla comunicazione. E’ inutile provare a far cambiare idea a chi comanda in alcuni settori, non possono ammettere di aver sbagliato, soprattutto in un orizzonte europeo, quindi non metteranno mai in atto processi innovativi, ma forse prenderanno delle persone per farlo.

Chi porta il cambiamento in azienda?
«Se guardo alle grandi compagnie, vedo un top management che resta all’oscuro, non vuole sapere, anzi ha paura. Per loro fortuna, ai piani più bassi ci sono operativi di talento che sperimentano, fanno quello che vogliono, e che per questo sono liberi di capire dove va il futuro. Sono loro che, non senza difficolta, innovano».

Qui ha ragione Shing, lo esprima in maniera chiara, anche se prima dovremmo anche metterci d’accordo su cosa sia realmente il marketing. Il passo successivo mi colpisce di più e riguarda quello che sarà la pubblicità nel futuro, o nel presente.

Cosa riserva il futuro dell’advertising?
Il destino dei brand, e il loro stesso successo, dipende da quanto e come sapranno creare esperienze, non advertising. E questo significa che dovremo fare pubblicità in un modo completamente diverso: se prendiamo l’esempio di YouTube, il futuro non può essere nelle pubblicità che vedete prima e dopo un video. Il futuro sarà nel fatto che il video stesso sarà una nuova forma di pubblicità che voi desiderate vedere, perché vi porta valore.
Dal lato dei consumatori ci saranno sempre più nicchie: prima avevamo pochi posti dove andare in rete, poi la rete si è aperta ed espansa, ora siamo tornati ad andare in due o tre posti, tra cui YouTube, Twitter, Facebook. Presto verranno di nuovo le nicchie, tantissime e tanto diverse. E’ un processo ciclico, e le aziende dovranno imparare ad essere in quelle nicchie.

Sappiamo bene che è una riflessione che in molti condividono, Kevin Roberts della Saatchi&Saatchi nel 2012 già aveva sentenziato la morte del marketing. Questo mi fa pensare al mio post di ieri, scritto sulla difficoltà da parte degli autori a raccontare il presente e soprattutto la distopia possibile. Se viviamo in un mondo di nicchie abbiamo bisogno di una molteplicità di strumenti e di luoghi per poterlo esprimere. Nonostante le resistenze che esistono sappiamo che il digitale, come luogo/non-luogo aumenterà sempre di più, tuttora anche chi non è sui social network, è coinvolto in questo mutamento e lo sarà sempre più in futuro. Credo che esista anche un evidente nostalgia verso uno scenario fatto da molti attori ma con pochi linguaggi, che invece avranno un aumento esponenziale. La sfida della comunicazione sta proprio nel cogliere questi cambiamenti, nelle esperienze, che non saranno le promozioni, ma bensì il coinvolgimento degli attori della comunicazione, che oramai sono tutti.