Homeland: Carrie è ancora il volto tormentato degli USA

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Homeland per l’ultima stagione

Carrie Mathison

Alex Gansa ci parla della chiusura della serie

Zygmunt Bauman, il grande filosofo teorizzatore della società liquida, ha scritto: “Come porre termine, come chiudere: è su questo e non certo su come iniziare o aprire qualcosa che chi vive la vita liquida moderna ha bisogno di istruzioni”. Raccontare una fine non è mai facile, soprattutto nella contemporaneità, nell’epoca del “to be continued”, della serialità espansa. Eppure ci si arriva. Così siamo arrivati all’ottava e sembra, irrevocabilmente, ultima stagione di una delle serie che più ha appassionati il pubblico internazionale, riscrivendo nel corso degli anni alcune delle regole del dispositivo delle spy story. Parliamo di Homeland e della sua protagonista Carrie Mathison, che si contrappone in tutto e per tutto al sicuro e sempre performante britannico James Bond, mettendo in campo la sua fragilità emotiva e la sua bipolarità psichiatrica, di cui è riuscita a fare un’arma straordinaria.

A rivelare che l’ottavo sarebbe stato l’ultimo capitolo della saga con protagonista la straordinaria attrice Claire Danes, un fuscello biondo, che sullo schermo si è rivelata capace di esprimere la forza di una montagna, conquistando le cime degli ascolti internazionali ed un palmarés ricchissimo, fra cui quattro Golden Globe, due solo per Homeland, Alex Gansa, co-creatore e showrunner storico delle vicende dell’agente della CIA.

claire danes Alex gansa

“La decisione di concluderla dopo l’ottava stagione è stata presa dopo la quinta stagione quando Showtime (la società produttrice) l’ha rinnovata per più stagioni. C’è stato un enorme incentivo finanziario per far andare avanti la serie. La serie è stata incredibilmente redditizia per tutti, ma non volevamo fosse troppo esaltata per la sua accoglienza.” Queste le parole dello scrittore americano in un’intervista a TV Line, dove poi ha anche spiegato i lunghi ritardi per la produzione di questa stagione, ci sono voluti ben due anni per arrivare a queste nuove puntate, ma ero tutto giustificato sia dalla gravidanza della Danes, sia dalla scelta di girare la nuova stagione in Marocco.

“Girare in Marocco ha richiesto molto più tempo di quanto pensassimo e non siamo neanche riusciti a realizzare tutto quello che ci eravamo prefissati di fare lì in Africa, quindi siamo dovuti tornare negli Stati Uniti, cosa che ha richiesto la creazione di un nuovo team di produzione per tutte le nuove puntate, cosa che ci ha ritardato tantissimo. Letteralmente è la stagione che non finirà mai!”

 

Si torna a parlare di Brody

carrie mathison

Qualcuno ha voluto scorgere in alcuni brani dell’intervista l’intenzione di voler creare l’attesa per una nuova stagione, ma francamente non ne siamo convinti, soprattutto per il legame narrativo creata fra l’ultima stagione e la prima quando Carrie era convinta che Brody, il personaggio interpretato da Damien Lewis fosse diventato una spia. Fra l’altro questa è stata una scelta presa quasi subito dal team di scrittura per mettere in dubbio la stessa fedeltà della protagonista, dovuta o ad una scelta consapevole, oppure emotiva o addirittura dovuta ai suoi problemi psichiatrici. Incredibile come l’incaricata di indagare i sospetti diventa essa stessa una sospettata!

“C’è una simmetria in questa stagione in quanto si riconduca alla premessa essenziale della prima stagione, che era il patriottismo di Brody. Questa volta è Carrie che, dopo la sua lunga prigionia e privazione delle sue medicine, finisce per tornare indietro e la gente pensa che non è certamente quella che era, inoltre potrebbe avere alleanze basate sul suo tempo trascorso in Russia.”

Carrie e Saul

Carrie e Saul

Stavolta però la vicenda centrale è occupata dal rapporto fra Carrie e Saul, rapporto che è sempre stato fondamentale sia nell’economia narrativa, sia nel dispositivo psicologico dei personaggi, ma mai così nel focus come in questa stagione. Mandy Patinkin, che è stato anche un volto noto di una serie importante come Criminal Minds, ha sempre incarnato la figura del mentore per la nostra protagonista, però ci sono sempre stati momenti di profonda discontinuità, addirittura facendo pensare anche a dei tradimenti che hanno pesati sulle vicende di entrambi. Certamente non possiamo dimenticare che della discontinuità caratteriale la serie ha fatto una sua bandiera, sia per i problemi sulle bipolarità della Mathison, sia per i continui cambiamenti della politica estera degli Stati Uniti, soprattutto nello scacchiere medio-orientale.

Gli Usa ed il racconto dell’antiterrorismo

“La vedo certamente come la chiusura di un libro, e una volta per tutte risolvendo questa complessa relazione protegé-mentore, e dicendo qualcosa di definitivo sull’attività dell’anti-terrorismo degli Stati Uniti negli ultimi vent’anni dall’11 settembre. Quindi per me la storia finisce qui.” Questa è la dichiarazione dello showrunner che sempre togliere ossigeno a chi voleva soffiare sul fuoco di una futura stagione.

Una serie che è stata davvero un grande successo, oltre le aspettative iniziali degli addetti ai lavori, fatta di ben novantasei episodi, che ha vinto ben sei Golden Globe e cinque Emmy Awards, mostrando ancora una volta, perché sembra sempre purtroppo che ce sia bisogno, come la scrittura sia il fulcro della narrazione. Questo non vuol dire ridurre il ruolo degli attori, anzi tutt’altro, perché i buoni interpreti sanno sempre come lavorare di concerto con gli scrittori, ma vuole far capire come un certo tipo di sciocco divismo, portato avanti dalla televisione dei reality show, che sono anch’essi fatti di scrittura, e dei rotocalchi pomeridiani, sia ormai arrivato alle ultime fermate di un viaggio in autobus con pochi pendolari a bordo. Specie in questi tempi di quarantena forza. Già che ci siete godetevi l’ultima stagione di Homeland.

Jack Bauer e Carrie Mathison

jack Bauer

Dopo la tragedia dell’11 settembre il terrorismo è diventato argomento importante per la narrazione e quindi anche per le serie tv. A contendere lo scettro come serie principale ad Homeland c’è sicuramente 24, che non solo ha lanciato Kiefer Sutherland nel firmamento delle star internazionale, ma anche imposto un certo tipo di format molto adrenalinico nella realizzazione della serie, fatto di scadenze e fuoricampo che volevano lasciare lo spettatore con l’acqua alla gola. 192 episodi in otto stagioni sono stato uno sforzo produttivo enorme, di cui le prime stagioni sono davvero esemplari. Rimanendo nell’ambito CIA non va sottovalutato il personaggio di Jack Ryan, prodotto dalla penna di una macchina da best-seller come Tom Clancy, che dopo ben cinque film, interpretati da Harrison Ford e Alec Baldwin, ha avuto il volto di John Krasinsky, che gli habituè delle serie tv ricorderanno nella divertente The Office e che ora si ritrova nei panni dell’analista dell’antiterrorismo, passando dalla scrivania all’azione.