DIARIO- Patrimonio: di chi è la spadara?

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Cosa ci viene in mente quando sentiamo in mente la parola patrimonio? Sicuramente una dimensione di ricchezza ed eredità. Nella maggior parte dei casi ed anche se cercate su google o altri motori di ricerca vi verranno definizioni cerca il problema delle successioni di beni mobili od immobili, con molti banner pubblicitari che pubblicizzano la risoluzione di qualunque problema testamentario. La vita poi è un’altra cosa e sappiamo molto bene quanto purtroppo queste cose siano dolorose.
Eppure c’è molto di più. E non me ne rendevo conto.

Per lavoro sto seguendo con MiCiLab i lavori della Commissione che si occupa di redigere lo statuto del nuovo comune di Corigliano Rossano in provincia di Cosenza. E’ il luogo dove ho deciso di vivere da alcuni anni, da quando, per mia fortuna, ho incontrato una splendida donna, che ha decisa di voler dividere la sua vita con la mia. Di essere come, dico io, la mia “socia di vita”.
Durante un convegno, svoltasi dentro la stupenda cornice dell’abbazia millenaria di Santa Maria del Patire, si ragionava sull’importanza dei beni culturali nella formazione del concetto stessi di identità. Sono state dette molte cose, ma quella che mi ha colpito subito è stato l’etimologia di Patrimonio spiegata dall’archeologo Francesco Cuteri. Una parola formata da due lemmi e che sintetizzano il “dovere del padre”, quello che un padre fa e lascia ai figli. Lasciamo stare da parte le fantasie su

Francesco Cuteri

forzieri pieni di monete sonanti e proviamo a pensare alla terra dove viviamo, a cui si fa riferimento anche in maniera sin troppo retorica. Parlo del patrimonio culturale, ma anche di quello naturalistico, insomma di tutti i segni del passato che le generazioni precedenti hanno lasciato prima di noi. C’è una forma di forte egualitarismo in tutto questo. Mi è venuta in mente una citazione da una di quelle letture obbligatorie alle medie: Il Diario di Anna Frank.
„Molti trovano bella la natura, molti dormono qualche volta all’aria aperta, molti, nelle prigioni o negli ospedali, sospirano il giorno in cui, liberi, potranno nuovamente godere la natura, ma pochi sono, come noi, chiusi colla loro nostalgia e isolati da ciò che è patrimonio sia del povero che del ricco.“
Il patrimonio è la nostra eredità, è l’insieme delle cose belle e delle cose brutte, degli errori e delle cose giuste, di pietre e pensieri, urla e canti, pianti e risate. Il patrimonio è l’insieme delle donne e degli uomini. E’ un concetto molto più forte della tanto citata identità. Noi siamo il patrimonio. Siamo la parte vivente di questo patrimonio. Come disse Emmanuel Anati, un altro archeologo italiano: „La storia non si ripete mai identica, ma il passato è dentro di noi, ed è con le esperienze, le conquiste ed anche le ferite, che il nostro patrimonio concettuale si arricchisce.“ Proprio per questo abbiamo anche una fortissima responsabilità. Chi vive deve essere guardiano del patrimonio e cercare di tracciare una via nuova che tenga conto del mondo in cui viviamo. Il mondo cambia. Sempre. Dobbiamo essere in grado di dare sintesi alle istanze più importanti della complessità per la nostra generazioni e per quelle che verranno.
Come? Questo è il difficile.
Eppure forse proprio i calabresi hanno un modello che può aiutare: la Spadara. La Spadara è la barca che si occupa della pesca del pesce spada. Ci sono tanti marinai e pescatori che servono a farla funzionare. Serve un abile navigatore. Qualcuno che scruti l’orizzonte per vedere i pesci che si muovono. Altri addetti alle reti. E molti altri. Tutti talenti diversi. Tutti con storie ed origini diverse. Tutti però insieme per ottenere il risultato che nutra il patrimonio. Loro e del futuro.
Chissà come sarebbe il mondo se funzionasse come una spadara.