Avengers: Age of Ultron. Umano e Post-Umano

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Qualche giorno ho visto l’ultimo film targato Marvel, ovvero il secondo capitolo degli Avengers, intitolato The Age of Ultron. Il film è godibile, divertente, però mette in gioco dei temi che oggi sono di tendenza, o di moda direbbero i più cinici, ma comunque cose che meritano una riflessione e anche un bella deriva. Joss Whedon dirige la vecchia squadra dei Vendicatori post-Shield – tranquilli che Nick Fury ritorna – al completo: Iron Man, Thor, Capitan America, Hulk, Hawkeye e Vedova Nera. Ci sono anche delle new entry come i due gemelli, e, soprattutto Visione, androide, anzi, Intelligenza Artificiale, creato da Ultron contro gli Avengers. E Ultron chi è?

Potrei descriverlo come un progetto fra Banner e Stark, l’Hulk scienziato e l’Iron man senza corazza, di cui hanno perso il controllo, che è andato oltre le loro aspettative sulla pace terrestre: per garantire la pace serve l’estinzione della razza umana. Non è un’idea originale. Negli anni ’90 l’invocazione all’autoestinzione è stato molto usata, sia come provocazione artistica e intellettuale (Chiesa dell’elettrosofia per citarne una), sia come credo di alcune piccole sette di cui non si sa più nulla (magari l’hanno messa in atto). Oltre questo un tema ricorrente nell’immaginario delle serie tv è l’invasione degli zombie, o dei vampiri, gli alieni stanno passando di moda, o di altre creature delle tenebre, oppure di progetti di sterilizzazione di massa dell’uomo. Siamo in tanti, ma la sovrappolazione era un tema in agenda solo fino agli 90, adesso sembra che l’immaginario cerchi la soluzione in maniera evidentemente più drammatica. Visione è un’altra intelligenza artificiale che sembra dalla parte degli umani, l’arma nuova per sconfiggere Ultron e ridare la speranza. Insomma senza un supereroe, nuovo o tradizionale, noi siamo spacciati. Cioè? L’elemento umano senza il post-umano non ha speranza, non si capisce perché il post-umano debba salvarlo. Uso un altro esempio. Siete un giocatore di calcio, avete percorso tutto il campo di corsa palla la piede, dribblato tutti gli avversari e col portiere battuto vi fate commuovere dal gattino di turno e buttate la palla fuori. Perchè?

Il post-umano è un elemento del dibattito accademico, da una trentina d’anni, ne hanno parlato in molti, ma il suo appeal è stato sdoganato quando ha assunto un altro nome: i Barbari. Cioè quando Alessandro Baricco ha scritto il suo saggio semplicemente intitolato I Barbari. L’intuizione è giusta: contro chi dice che oramai siamo alla fine della civiltà sotto ogni aspetto cerchiamo di capire cosa succede. In parole povere perché un ragazzo preferisce vedere un video di una crew di parkour di L.A. piuttosto che un programma di Augias – anche io preferirei il parkour. Siamo di fronte ad una mutazione antropologica, anzi ad un numero incredibili di mutazione cominciato con l’avvento delle reti e con il processo di neo-tribalizzazione. Sullo stesso tema mi sento di consigliare il libro di Alberto Abruzzese, Punto Zero. Il crepuscolo dei Barbari.
C’è un forte cambiamento in atto e come sempre c’è chi lo rifiuta, chi tenta di rimuoverlo, chi tenta di cavalcarlo, come quello che non hanno afferrato l’implicazione dadaista nella “candidatura” di Magalli al Quirinale. Siamo ben oltre la protesta, siamo in un nuovi stili di vita, siamo in dimensioni nuovi, connesse e tenute insieme, ma che non hanno una visione a lungo raggio. Non avere un orizzonte immediato non è una critica, ma una presa di coscienza, essere in una nuova dimensione dell’umano, ovvero il post-umano. A Baricco io preferisco Rosi Braidotti, googlatela pure, e altri che tentano di indagare nuovi panorami, quelli di connessioni diverse, di limen appena sorti e già morti.