#19giugno Si può tifare la politica?

Spread the love

19 giugno
Ascolto come Twitter e Facebook abbiamo criticato e rimosso alcuni spot elettorali di Trump perché contenenti simboli nazistoidi e vicino al suprematismo bianco. Il presidente americano ed i suoi consulenti sanno di essere in difficoltà per la forza con cui cresce il movimento #blacklivesmatter e puntano così a mobilitare tutte le aree a loro possibilmente affini per portarle a votare a novembre.
Non siamo esenti da un fortissimo cambiamento della comunicazione politica avvenuto negli ultimi 30 anni. In Italia questo cambiamento ha avuto delle tappe fondamentali, la vicenda giudiziaria di tangentopoli e la discesa in campo di Berlusconi.

In quel periodo dei primi anni 90 si sono affacciati alla politica del nostro paese settori e spicchi di popolazione che prima non si sarebbero mai avvicinati rispetto ai cosiddetti “politici di professione”. Certo il cambiamento era già in nuce da prima con la retorica di stampo craxiano-socialista della “Milano da bere”. Tangentopoli sembró cancellare e distruggere gli steccati dei passati comportamenti politici ed aprire la porta a qualsiasi tipo di comportamento con la convinzione che un approccio più diretto, diciamo “rustico e ruspante”, fosse sinonimo di onestà. Inizia qui l’affermazione della Lega di Bossi. Il fenomeno ebbe varie ondate successive, come la nascita e l’affermazione del Movimento 5 Stelle. Nella comunicazione politica si passa dell’opinione al tifo.

Inizia un processo degenerativo che oggi viene attribuito ai social ma che ha radici ben più lontane e che nel caso presenta certe conferme di un’opera fondamentale del secolo scorso, cioè “L’Anti-Edipo – Capitalismo e Schizofrenia” nata dalla preziosa collaborazione dei due filosofi Deleuze e Guattari, che ha indagato i rapporti di potere e rappresentazione. La rappresentazione e la comunicazione politica oggi è assolutamente lineare con l’idea stessa di una produzione del potere, e dei suoi simboli quindi, che assolutamente partigiana e quindi non collettiva. L’affannata ed infinita ricerca e rincorsa del nemico crea delle situazioni sempre più imbarazzanti, ma che non possono più tornare indietro, altrimenti c’è il rischio di venire “esonerati”, per usare un termine sportivo. I continui richiami ad una comunicazione più ragionata sono in realtà conseguenti di un copione che non può cambiare.

Per cambiare è necessario ripensare la politica e la sua comunicazione in rapporto coi mezzi di produzione e comunicazione. Come ho sottolineato in alcuni post precedenti la questione della rappresentatività e della rappresentanza in tv è essenziale in in democrazia ed è una questione di ordine etico, estetico ed economico. La rete ed i social devono compiere un salto in avanti da un punto di vista della loro maturità ed essere sempre più indipendenti dallo schermo televisivo, mentre oggi funzionano, nella loro maggior parte e non nella totalità, come eco dello schermo televisivo che è molto più totalizzante ed ingombrante per le sue caratteristiche. Ignorare la questione televisiva significa ignorare che la questione mediatica è una questione di forma e sostanza, della creazione dei contenuti che vengono ogni istante veicolati nei nostri device, contenuti che stabiliscono l’agenda di priorità di un paese. Il tifo in politico cancella qualsiasi possibilità di sviluppo cercando di portare tutto in una modalità istintuale, sentimentale con la scusa di veracità come verità! Però non si chiede né quale verità, né cosa sia la verità.